L’elezione dei nuovi rabbini capo

Designati David Lau per gli ashkenaziti e Yitzhak Yosef per le comunità sefardite. In carica per i prossimi dieci anni avranno il difficile compito di colmare le distanze tra le diverse anime del giudaismo israeliano
Gerusalemme

«Continueremo a lavorare per unire il popolo di Israele e nel mondo, attraverso il nostro impegno alla halacha (la legge ebraica che include quella biblica, talmudica e rabbinica ndr) e per tutti gli ebrei.  Faremo di tutto per evitare nuove divisioni e mancanza di armonia».

Questa la dichiarazione rilasciata pochi istanti dopo l’avvenuta elezione dei due nuovi rabbini capo in Israele: David Lau per gli ashkenaziti e Yitzhak Yosef per le comunità sefardite.

L’elezione, avvenuta all’interno del Leonardo Hotel a Gerusalemme, ha visto riunita un’assemblea di 150 persone, 80 rabbini e 70 rappresentanti dell'autorità civile del Paese. I due nuovi rabbini capo, che resteranno in carica per dieci anni, sono “figli d'arte”: David Lau, 47 anni, il più giovane rabbino a ricoprire questa carica, è figlio di Yisrael Meir Lau, sopravvissuto alla Shoah, che fu rabbino capo ashkenazita d'Israele dal 1993 al 2003 (e attualmente è rabbino capo di Tel Aviv).

Yitzhak Yosef, 61 anni, è invece il figlio di Ovadia Yosef, che fu rabbino capo sefardita dal 1973 al 1983 ed è tuttora considerato il padre spirituale dello Shas, il più influente tra i partiti religiosi in Israele, che conserva una indiscussa autorità morale, come ha dimostrato l’elezione appena conclusa.

Il figlio Rav Yitzhak Yosef, oltre a essere un noto studioso ed esperto di legge ebraica, dopo aver ottenuto l’appoggio paterno non ha mai visto la propria vittoria in dubbio. Gli organi di stampa israeliani hanno sottolineato come, in segno di rispetto, alcuni candidati sefarditi si erano ritirati negli ultimi giorni lasciando via libera all’elezione di Yosef. Inoltre, sempre secondo osservatori israeliani, l’elezione di Yosef ha portato un sospiro di sollievo fra molti israeliani ed ebrei della diaspora. C’era infatti il timore di un'eventuale vittoria dell’altro candidato, Rav Shmuel Eliyahu, che aveva proposto una proibizione per gli ebrei di affittare ad arabi e che appoggiava posizioni che la stampa israeliana moderata considera «punti di vista problematici». Con la vittoria di Yitzhak Yosef tali tensioni paiono essere state messe da parte, almeno per il momento.

Da parte ashkenazita, invece, la lotta è stata molto più serrata e si è conclusa nelle ultime battute già all’interno dei procedimenti elettorali all’Hotel. Da un punto di vista politico, Lau ha avuto il supporto tacito ma sicuro del Likud e del primo ministro Netanyahu, la cui famiglia è molto vicina a quella del rabbino capo neoeletto. Il suo contendente principale, il Rav David Stav, invece, aveva l’appoggio di vari partiti politici, ma non è stato sufficiente a garantirgli la vittoria.

Il Gran Rabbinato d’Israele si trova ad un nodo importante del suo corso storico: si richiedono riforme da parte di molti ma ci sono anche tendenze che vorrebbero limitarne l’autorità.

L'elezione di questi due nuovi rabbini-capo è considerata come una rivincita in Israele degli haredim, gli ebrei ultra-ortodossi. Nelle ultime elezioni politiche, infatti, si era affermato lo Yesh Atid, il partito laico capeggiato dall'ex conduttore televisivo Yair Lapid. In occasione delle elezioni dei due rabbini, gli haredim, sia ashkenaziti che sefarditi, hanno costituito un fronte comune, che ha impedito la vittoria, come sembrava profilarsi, di leader del sionismo religioso, una corrente più aperta al dialogo con il mondo laico, ma anche caratterizzata da un marcato nazionalismo. 

Un secondo aspetto da non sottovalutare è quello del rapporto con il Vaticano. David Lau e Yitzhak Yosef assumono ora un ruolo importante nel rapporti con la Santa Sede, soprattutto alla luce della Commissione mista creata nel 2002, che raccoglie rappresentanti del Rabbinato e della Santa Sede, che si riuniscono per discutere su temi di carattere etico e religioso di interesse comune.

Come fanno notare osservatori attenti alle questioni politico-religiose d’Israele i due nuovi eletti avranno il non facile compito di lavorare per poter colmare le distanze espresse dalle diverse anime del giudaismo israeliano nel corso del lungo periodo di dibattiti interni; distanze che sono emerse chiaramente anche nel complesso processo che ha portato alla loro elezione.

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