Lehman Brothers 10 anni dopo, resta la finanza casinò
«Date le condizioni della finanza mondiale, non ci si deve chiedere “se” una nuova crisi scoppierà, ma “quando”». Leggendo questa dichiarazione di Carlo Clericetti, nota firma del giornalismo economico, nell’intervista rilasciata a Città Nuova, abbiamo ricevuto in redazione telefonate preoccupate per sapere quali proposte sostenere per rispondere a tale annuncio traumatico.
Un buon riscontro che dimostra da un lato l’esistenza di persone che leggono gli articoli per intero, senza fermarsi al titolo, e dall’altro una predisposizione ad andare oltre la denuncia con proposte da sostenere seriamente. È ciò che cerchiamo di fare in compagnia con il mondo dell’economia civile e della finanza etica, che non sono affatto riserve indiane di illusi ma movimenti propulsivi del cambiamento. Lo strumento può essere anche ironico in mezzo a tante tragedie ed è quello che ha proposto Banca etica davanti alla Borsa di Milano, in una solitaria piazza Affari dove si erge l’imbarazzante monumento dell’eclettico Cattelan.
Intorno alla statua che, diciamo così, con un gesto conosciuto a livello internazionale “manda al diavolo” lo sporco mondo della speculazione, gli attivisti della finanza etica hanno riprodotto in grande il famoso gioco da tavola Monopoli rinominandolo Borsopoly come metodo per apprendere segreti e bugie del mondo dei soldi, per capire assieme come liberarsi dalla logica asfissiante di una disciplina che gioca con la vita reale delle persone ma resta accessibile alla conoscenza di pochissimi.
Secondo l’ultimo rapporto della Consob il 50% degli italiani non conosce le nozioni base della finanza, ma il dato sembra sottostimato. Dopo gli scandali delle banche fallite anche in Italia, si è avuta una certa enfasi sulla necessità di un’educazione finanziaria che sembra tuttavia, come sottolinea Banca etica, «un tentativo di addossare ai consumatori le responsabilità dei disastri» avvenuti
La questione è serissima perché come dice Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica, a 10 anni dal fallimento della Lehman Brothers, che ha segnato l’avvio ufficiale della crisi economica peggiore dal 1929, quasi «nessuno dei responsabili è stato condannato, mentre le banche sono state salvate con montagne di soldi pubblici; la crisi ha provocato danni giganteschi all’economia nel suo insieme, e in particolare alle fasce più deboli della popolazione, assieme a un vergognoso aumento delle diseguaglianze».
Molti dei meccanismi finanziari che hanno determinato la crisi (a cominciare dai derivati), inoltre, «sono stati solo marginalmente toccati dalle nuove regole, che paradossalmente sembrano invece voler rendere sempre più difficile per la finanza etica e cooperativa dare credito all’economia reale». Infatti, ed è questo il dato che inquieta di più, solo una minima parte degli oltre 11 mila miliardi di dollari spesi dalle banche centrali di USA, Giappone ed Europa per immettere liquidità nei mercati, ha raggiunto l’economia reale. Il resto, sempre secondo banca etica, è andato ad «alimentare i circuiti della finanza speculativa». Così se, tra settembre 2008 e marzo 2018 , il piccolo istituto italiano costituito secondo i criteri etici ha visto crescere la concessione di crediti ad un tasso medio annuo del 18%, nel resto del sistema bancario nazionale «il credito alle imprese è diminuito del 22% in termini reali».
Una comparazione esibita come atto di accusa che si rivolge, tuttavia, in prima battuta verso la cultura prevalente che, come nota Baranes, sembra accogliere oggi, a 10 anni dall’inizio della crisi, la vecchia «idea che solo una finanza libera da lacci e laccioli potrebbe trainare l’economia. Le lobby finanziarie rialzano la testa e tornano senza vergogna a chiedere l’abbattimento di regole e controlli». Per poter rimettere al centro del discorso una efficace riforma del sistema finanziario, a cominciare dalle troppe complicità esistenti sui paradisi fiscali all’impunità che accompagna strumenti da casinò come i derivati, banca popolare etica invita sostenere la campagna Change Finance, promossa da diverse reti della società civile europea.
Ma se davvero non possiamo accontentarci di «attendere passivamente la prossima crisi», dagli effetti imprevedibili, sembrano insufficienti anche le pur giuste campagne di pressione contro lobby che dispongono, tuttavia, di poteri che paiono inamovibili. Che fare ancora? E qui il dibattito è destinato ad aprirsi.