L’Egitto è l’Egitto

Nello scontento generale, nella delusione per la rivoluzione mancata, nella crisi economica che sta attanagliando il Paese, ci sono aspetti positivi: la coesione dell'opposizione, la capacità di assorbire culture e popoli diversi, una ritrovata unità dei cristiani
Egitto

Da mesi si parla molto dell’Egitto e della sua situazione politica e, spesso, la nostra stampa tradisce ancora toni paternalisti con questo Paese che sta attraversando una delle sue fasi critiche più complesse della sua storia. Senz’altro non è la prima di un mondo la cui civiltà risale a millenni avanti Cristo e nemmeno sarà l’ultima. Come sappiamo, poi, la fase che la nazione del Nord Africa sta attraversando è legata ad un contesto ben più generale e articolato che è il mondo dell’islam, caratterizzato da fenomeni spesso trasversali di riforma, da una parte, e di irrigidimento fondamentalista, dall’altro. L’Egitto vive proprio nella morsa di questi opposti ed è una situazione che rende difficile una lettura equilibrata e serena della complessità di questa situazione, soprattutto dall’esterno e, particolarmente, da questa sponda del Mediterraneo.

In questi ultimi giorni mi sono trovato in varie città del Paese del Nord Africa. Saltava agli occhi il numero esiguo di turisti in luoghi altrimenti affollati di stranieri in questa parte dell’anno. La causa della crisi è il timore da parte delle agenzie turistiche occidentali ad offrire il Mar Rosso, l’Alto Egitto ed il Cairo come luoghi di vacanza natalizia. Ma proprio in questo contesto, che sta mettendo in crisi non solo l’economia nazionale, ma quella di migliaia di famiglie, mi ha colpito quanto una guida ha commentato al termine della visita di un tempio funerario egizio ad Abidos, non lontano da Sohag nel sud del paese.

“Vi ringrazio – diceva la guida al gruppo di turisti che lo avevano seguito – per essere venuti a visitare questo tempio e per l’interesse che mostrate per il nostro Paese e la sua cultura. Noi stiamo vivendo una fase molto delicata della nostra storia. Nell’antico Egitto, spesso, fra una dinastia e l’altra capitava che nel giro di settanta anni si susseguissero settanta re, segno di una grande instabilità. Oggi viviamo una fase molto simile. Forse qualcuno vi dirà cose offensive o vi tratterà male. Io vi chiedo scusa per tutto questo e vi ringrazio per la pazienza che avrete con noi”.

Mi sono sembrate parole di grande dignità e maturità umana e sociale, oltre che di capacità di lettura tra le pieghe della storia recente, quotidiana direi. Quello che Barakhat – questo il nome della giovane guida turistica – ha commentato dovrebbe far riflettere e si sposa perfettamente con le conclusioni di un’analisi acuta, mi pare, realizzata, qualche giorno fa, da Andrè Azam per l’agenzia cattolica Asianews.

All’inizio del 2013, in effetti, il panorama è piuttosto nebuloso, ma senza dubbio, nello scontento generale, nella delusione per la rivoluzione mancata, nella crisi economica che sta attanagliando il Paese, ci sono aspetti positivi. Uno dei risultati del nuovo regime è quello di aver contribuito ad una maggior unità delle opposizioni, composte soprattutto da forze liberali e laiche. Ci si chiede ora se saranno in grado di contrastare l'invadente movimento islamista, ma sebbene ci sia scoraggiamento gli equilibri del Paese stanno cambiando.

 “L'Egitto – afferma mi pare giustamente Asianews – sta per essere guidato oltre la Primavera araba, per entrare in un lungo tunnel che è pari a un oscuro e gelido inverno. Ma l'Egitto è l'Egitto, con la sua storia millenaria, la sua resistenza, l'energica capacità di recupero della sua popolazione, che nei secoli è stata in grado di assorbire differenti culture e civiltà, cristiane e musulmane, che potrebbe provocare in tutto il mondo una sorta di " egittomania ", grazie al suo realismo e al senso dell'umorismo. Tutte queste qualità potrebbero aiutare a superare le situazione più difficile e dare speranza per il futuro”. 

E’ in questo contesto che, fra sfoghi di delusione e rabbia, tensioni che possono scoppiare improvvisamente in violenza, incertezza, speranza per il futuro, ma anche desiderio di molti di migrare, ci sono segni che parlano anche di speranza. Li si coglie per strada, nella vita quotidiana. Un’amica del Cairo mi diceva che, proprio quest’anno, dopo che i salafiti avevano invitato i musulmani a non fare gli auguri ai cristiani per il Natale, come non mai amici, vicini di casa, gente dei quartieri ha continuato a esprimere partecipazione nella celebrazione della nascita di Gesù, che in Egitto cade il 6 gennaio.

Non solo: una delegazione della celeberrima università di al-Azhar, guidata dal Grande Imam Mohamed Ahmed al-Tayebe dal Gran Mufti dell’Egitto, Ali Gomaa, si è recata dal nuovo papa copto-ortodosso, Tawadros II, per porgere gli auguri alla comunità cristiana. Da parte sua il nuovo capo della Chiesa copto-ortodossa ha fatto visita ai vari patriarchi cattolici; una novità assoluta. La notte di capodanno, migliaia di giovani e non solo, hanno vegliato cantando all’interno di una chiesa evangelica a ridosso di Piazza Tahrir ele strade circostanti erano stracolme di gente, cristiani ma si notavano non pochi musulmani.

Forse, da questa parte del Mare Nostrum, potremmo guardare con meno timore e accondiscendenza quanto sta accadendo e mettere in rilievo quanto di positivo sta maturando in un mondo che da millenni ha saputo rigenerarsi in forme di vita sociale, religiosa e politica sempre nuove. Sono partito da questo angolo di Nord Africa con la sensazione che l’Egitto ha detto qualcosa d’importante alla storia e alla cultura dell’umanità e forse ha qualcosa da offrire anche oggi. Senza dubbio il processo non sarà indolore, ma potrebbe portare dei valori importanti per gli equilibri nel Mediterraneo. L’importante è non avere fretta.

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