Legge sui media causa un conflitto istituzionale
La normativa antimonopolio sui media è degenerata in uno scontro tra il potere esecutivo e quello giudiziario
In Argentina è in atto un inedito conflitto istituzionale tra il governo e il potere giudiziario. La mela della discordia è l’applicazione della legge che riforma le concessioni radiotelevisive, la cui ratio intende evitare concentrazioni semimonopoliche. Un paio di articoli della legge sono stati impugnati dal maggiore gruppo editoriale del Paese, il conosciuto Gruppo Clarín, titolare di un numero di licenze radiotelevisive che eccede abbondantemente i limiti stabiliti dalla legge. Esiste una interminabile disputa in merito al prossimo sette dicembre, termine del periodo concesso ai vari media del Paese per adeguarsi alla nuova normativa e presentare un piano in base al quale rinunziare alle licenze in eccesso.
Secondo il Gruppo Clarín la giustizia potrebbe prorogare il periodo necessario per adeguarsi alle nuove norme, secondo il governo una nuova proroga violerebbe la sostanza di una legge approvata dal Parlamento tre anni fa. In attesa di una sentenza sulla questione, da settimane vengono sistematicamente ricusati dal governo i giudici che si suppone potrebbero pronunciarsi a favore del gruppo. Lo scontro ha raggiunto limiti inediti ieri con la ricusazione di tutta una Camera dove si formano vari tribunali civili (la Costituzione non prevede un caso simile), mentre il ministro di giustizia, Julio Alak, dichiarava in una conferenza stampa che una possibile dilazione da parte della giustizia della data di applicazione della legge sarebbe una «ribellione nei confronti di una legge della Nazione». Ossia, il governo non è disposto ad accettare nessuna decisione giudiziaria sfavorevole al proprio obiettivo.
Più o meno dietro le quinte il gruppo editoriale in questione guadagna tempo, cerca di mantenere uno stato di eccezione che gli concede un grande potere mediatico ed economico e logora un governo impegnato in una lotta goffa e poco rispettosa delle istituzioni repubblicane.
Dietro la questione legale, esiste infatti uno scontro politico aperto tra il governo e il gruppo editoriale che si oppone tenacemente alla gestione del potere esecutivo. Il Gruppo Clarín ha fatto il bello e il cattivo tempo nel Paese e le licenze nelle sue mani sono quantitativamente esorbitanti. Il problema però è che la modalità adottata dal governo rompe l’equilibrio istituzionale che si basa sulla separazione dei poteri. Un altro paradosso è rappresentato dal fatto che a suo tempo l’allora presidente Néstor Kirchner, defunto marito della attuale presidente Cristina Fernández, permise in parte tale concentrazione accettando la fusione di due gruppi di televisione via cavo. È molto difficile, poi, che non siano intercorsi negoziati diretti col Gruppo Clarín in tempi in cui ancora non si era giunti allo stato di guerra.
La situazione ha introdotto un clima di tensione di cui il Paese non pare aver bisogno. Soprattutto perché non sono stati risolti, né vengono affrontati con efficacia, problemi sostanziali come l’alta inflazione, che viaggia al di sopra del 20 per cento annuale, e la lotta contro la povertà che ancora minaccia la situazione economica di un quarto degli abitanti del Paese.