Legge o bene comune?
La sentenza che ha condannato i componenti della commissione Grandi rischi si presta, a caldo – quindi senza aver letto il dispositivo completo della sentenza che sarà noto solo tra qualche settimana –, a considerazioni tra loro contrastanti.
La prima è che anche i cosiddetti esperti, gli scienziati, sono soggetti alla valutazione del loro operato da parte della società, una società composta da normali cittadini, con competenze variegate, non necessariamente specialistiche. Non esiste, insomma, un diritto ad essere giudicati da altri scienziati, che hanno una analoga competenza in materia. Come qualsiasi cittadino, anche gli esperti sono valutati da tribunali che potrebbero non comprendere fino in fondo tutte le implicazioni del caso in esame. Questo è il prezzo da pagare per la democrazia e l’uguaglianza davanti alla legge.
D’altra parte, però, questa sentenza provoca anche la sgradevole sensazione, speriamo sbagliata, che i giudici a volte siano – mi si perdoni l'espressione – fuori dal mondo. Perché non credo sia mai stata pronunciata, in nessun Paese, una sentenza come questa. I terremoti sono imprevedibili, per cui la scienza si basa su calcoli di probabilità, niente più. E la probabilità che al 90 per cento un avvenimento non succeda, non esclude del tutto che possa avvenire. Quindi, che si fa, si svuotano città e paesi un giorno sì e un giorno no? Domani si condanneranno i meteorologi per non aver previsto un tornado? Ripeto, questa valutazione è a caldo, prima di leggere la sentenza, ma ricordo che tempo fa altri esperti vennero processati per il motivo opposto: avevano spaventato “troppo” la popolazione, prevedendo un terremoto che poi non è avvenuto.
La sentenza fa anche riflettere sull’importanza di interpretare la legge col buon senso, tenendo conto delle conseguenze provocate dalle sentenze sul paese. Chi accetterà da ora in poi di partecipare alla commissione Grandi rischi, che s’è subito dimessa, ovviamente? Se ci saranno dei volenterosi, probabilmente si limiteranno a scrivere incomprensibili verbali pieni di formule, che potrebbero essere interpretati in un senso o nell’altro. È il vecchio metodo di lavarsene le mani, lasciando ad altri il peso della decisione. Il rischio di scoraggiare gli scienziati dal continuare a fornire allo Stato valutazioni su questi possibili eventi c’è. La legge senza buon senso non serve al bene comune.
Allo stesso tempo esiste sicuramente un problema di comunicazione: quando si parla sulla pelle della gente, bisogna usare tutte le cautele possibili ed immaginabili. Ed il parere espresso alla vigilia del terremoto dell’Aquila aveva in effetti zone di incertezza e di possibili interpretazioni divergenti, sulle quali probabilmente la condanna si è concentrata. Aspettiamo le motivazioni della sentenza.
Un’ultima considerazione, dolorosa, va fatta sullo spettacolo di alcuni parenti delle vittime che gioiscono alla lettura della sentenza. Forse è inevitabile, la nostra psicologia è fatta così: in caso di una perdita devastante abbiamo bisogno, anche in caso di fenomeno naturale imprevedibile, di scaricare la rabbia su qualcuno. Una volta poteva essere Dio, oggi sono gli uomini. Forse è questo il motivo, ma certo è molto triste.