Legge elettorale: tre mesi per cambiarla

Il Parlamento pigia l’acceleratore per cercare di anticipare il pronunciamento, atteso per i primi di dicembre, da parte della Consulta, chiamata in causa dalla Cassazione, sulla incostituzionalità del Porcellum
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Ricapitolando. Il 17 maggio scorso un’ordinanza della Corte di Cassazione ha clamorosamente censurato la legge elettorale vigente, evidenziandone il fumus di incostituzionalità in almeno tre criticità: il premio di maggioranza attribuito alla Camera – in misura abnorme – in assenza della indicazione di una percentuale minima da raggiungere; la asimmetria fra Camera e Senato per l’attribuzione del premio di maggioranza; l’impossibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti in modo diretto attraverso l’espressione di preferenze.

L’ordinanza della Cassazione venne trasmessa alla Corte Costituzionale che si pronuncerà, nell’udienza fissata per il 3 dicembre prossimo, sulla conformità o meno della legge Calderoli riguardo sia alla nostra Costituzione che alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Parlamento delegittimato? Per tre legislature i nostri parlamentari sono stati eletti con questa legge, e sono sette anni che, pur dichiarando quasi tutti – a parole – di volerla cambiare, si cincischia nelle Commissioni attorno ad ipotesi di riforma mai arrivate alla discussione in aula, né a Montecitorio né a Palazzo Madama.

Adesso è atteso il verdetto della Consulta: una minaccia salutare, perché rende non più possibile il continuare a “fare melina”. Una dichiarazione di incostituzionalità del Porcellum, infatti, oltre a riportare automaticamente indietro nel tempo il sistema elettorale legittimamente vigente nel nostro Paese (che, pare, non sarebbe neppure il maggioritario del Mattarellum del 1993, ma addirittura il proporzionale puro in vigore fino al 1992), costituirebbe un sonoro ceffone per il Parlamento che perderebbe non solo la faccia, ma anche la sua fonte di legittimazione.

Adesso si accelera. Sia la Camera che il Senato, prima di andare in ferie, hanno incardinato la procedura d’urgenza e la corsia preferenziale per la discussione dei progetti di riforma elettorale.

L’esame inizierà nella prima settimana di settembre e una nuova legge elettorale dovrà superare l’approvazione dei due rami del Parlamento entro la fine di novembre.

Le ipotesi di riforma sono le più varie, come si evince, ad esempio, dai progetti di legge presentati in Commissione Affari costituzionali del Senato. Alcuni fanno riferimento a sistemi vigenti in altri Paesi europei (dal modello tedesco a quello spagnolo), altri ripropongono il Mattarellum (con modifiche), e c’è ancora il disegno di legge di iniziativa popolare che giace nel cassetto dal 2007.

È possibile trovare una convergenza? Le posizioni dei diversi partiti sembrano ancora distanti tra loro, e vi sono pluralità di opinioni anche all’interno delle singole formazioni. Appare improbabile riuscire a trovare in tre mesi quella quadratura del cerchio cui non si è pervenuti in sette anni, approvando una riforma elettorale organica e condivisa da un’ampia maggioranza.

Assai più plausibile sembra ai più che, alla fine, si pervenga ad una legge-ponte che apporti alla legge Calderoli soltanto dei correttivi ai punti a rischio di bocciatura da parte della Consulta. Ad esempio: previsione della soglia minima del 40 per cento per l’attribuzione del premio di maggioranza alla Camera; introduzione di un analogo premio di maggioranza su base nazionale anche per il Senato. Su queste norme pare ci sia un accordo fra i tre partiti della maggioranza. Rimane aperta la questione dell’introduzione delle preferenze, su cui sussistono forti resistenze trasversali, permanendo la pervicace volontà del mantenimento delle liste bloccate (per la serie: nominati è meglio che eletti): ma su questo punto cosa dirà la Consulta?

Insomma, incombe la prospettiva che si passi dal “Porcellum” ad un “Maialinum” (appellativo con cui Renzi avrebbe battezzato l’ipotesi di questa legge-ponte).

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