Legami Fraterni

Mons. Luciano Monari è vescovo di Brescia dal luglio del 2007 ed è vice presidente della Cei. Sua è la proposta di "Mano fraterna", un insieme di iniziative a sostegno delle famiglie bresciane colpite dalla crisi.
brescia immigrati

Mons. Monari, c’è attesa per la visita del papa a Brescia?

«L’attesa e la curiosità ci sono da parte di tutti. Anche di quei pochi che la visita non la vorrebbero. Ci sono un rispetto e un affetto per il papa in quanto tale, e il fatto di aver avuto Paolo VI ha dato ai bresciani una solidità ed una profondità particolare. Abbiamo cercato di coinvolgere la popolazione con degli incontri che aiutano a capire la dimensione ecclesiale di comunione della Chiesa: preghiera, convegni, forum».

 

La fede è solo il retaggio di una civiltà contadina o, anche oggi, in una società ricca come Brescia, è possibile incarnare la fede nella concretezza del vissuto?

«È la sfida che abbiamo davanti. Il discorso è abbastanza chiaro. L’incarnazione della fede è l’amore. I bresciani sono famosi per essere dei lavoratori accaniti. Il lavoro può essere vissuto nell’ottica puramente individuale dell’arricchimento personale o può essere vissuto come dedizione alla società. In questo secondo caso c’è coerenza tra la fede e il vissuto, se siamo innestati nell’amore di Dio e viviamo legami di amore fraterno».

 

Qual è l’elemento centrale da riscoprire da parte di tutti i bresciani per una nuova riscoperta della fede?

«Un rapporto con Dio personale, attraverso la mediazione della Parola. Il Signore è un Dio personale, e il rapporto passa attraverso la comunicazione, altrimenti viene “cosificato”. La dimensione dialogica è quella fondamentale, davanti ad un volto misterioso ma rivelato».

 

Con la nuova giunta è cambiato il clima a Brescia riguardo gli immigrati…

«Il clima non è cambiato a causa della nuova amministrazione, perché ci sono alcuni problemi specifici che hanno causato tensione con gli immigrati. Il caso del “bonus bebè” è uno di questi. Nonostante tutto c’è una disponibilità a confrontarsi anche su questi temi e con gli assessori c’è un dialogo che continua. Non c’è un muro ma ci sono dei timori e delle perplessità di fronte a scelte che non condividiamo senza che questo diventi totalizzante».

 

Cosa vorrebbe realizzare per la sua diocesi, qual è il suo programma, il suo sogno?

«Non ho dei programmi. Come diceva Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, il programma della Chiesa è già fatto: la vocazione alla santità, a partire dalla Parola di Dio, l’eucaristia, la vita della comunità cristiana, la creazione di legami di fraternità. Il mio obiettivo e del Signore è fare vivere delle comunità cristiane consapevoli di sé, al servizio della vita degli uomini e per donare il più possibile le ricchezze ricevute».

 

Lei ha detto che «senza la comunione con il Papa non sarebbe neanche vescovo». Si dice scherzando che un prete è parroco, vescovo e papa nella sua parrocchia. Come alimentare la comunione dei sacerdoti con il vescovo e tra di loro per la testimonianza cristiana?

«È un discorso che riguarda la fede. Il ministero presbiterale non appartiene a noi, ma al Signore. Il legame tra di noi è fondamentale proprio perché non vengano fuori tre o quattro ministeri separati e slegati gli uni con gli altri. Dal punto di vista teorico è chiarissimo, il problema è introdurlo nel vissuto. E qui lo si fa con il confronto tra le persone, accettazione delle diverse esperienze, è un lavoro di pazienza, con un tessuto che si crea poco alla volta, soprattutto con i rapporti personali».

 

Cosa ha più a cuore per la visita del papa?

«Intanto dire un grande grazie al papa per la sua visita e l’augurio che per tutti noi sia un grande dono del Signore per accogliere in modo ampio e gioioso quella parola d’amore di Dio e di cui il papa è testimone».

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