Legambiente compie 30 anni
Tra fedeltà ai valori e cambiamento. Intervista al presidente nazionale, Vittorio Cogliati Dezza.
È facile intuire come quello in cui Lagambiente è nata fosse un mondo per molti aspetti diverso da quello attuale, e fare l’elenco di ciò che è cambiato di conseguenza nella vostra azione. Quali sfide, invece, sono rimaste le stesse?
«Ad essere rimasti uguali sono sostanzialmente due aspetti: la volontà di tenere fermi i nostri valori di riferimento pur cambiando a partire dalle situazioni reali, senza ideologie o posizioni prese a priori, e una visione della realtà di tipo evolutivo. Davvero speriamo di essere inutili da qui a cinquant’anni, perché vorrebbe dire che gli obiettivi per cui lavoriamo sono stati raggiunti. Filo conduttore della nostra azione è soprattutto la centralità della città in quanto luogo fisico in cui viviamo e si incontrano l’aspetto sociale e quello ambientale: dalla mobilità, all’edilizia, alla raccolta differenziata, alle aree verdi. L’altra linea lungo cui ci muoviamo è quella della qualità del Paese, a partire dalla legalità e dalla pubblica amministrazione. Il terzo filone è quello delle grandi questioni globali, soprattutto la salvaguardia della biodiversità e i cambiamenti climatici».
Le questioni ambientali sono sempre più legate all’ambito politico: basti pensare al vertice di Copenhagen o all’impegno dell’Unione europea in questo senso. Legambiente, tuttavia, non è un partito né vuole esserlo: come intende quindi relazionarsi alla politica?
«Noi concepiamo la politica come arte di governare il cambiamento, di gestione dell’esistente e dell’individuazione di scenari possibili. In questo sta la sua responsabilità di costruire un’immagine affascinante del futuro. Il nostro rapporto con la politica non è aprioristico né di schieramento, valutiamo l’azione concreta al di là dell’appartenenza partitica. Lavoriamo bene soprattutto con le amministrazioni locali, proprio per la centralità che diamo alla città: una delle stagioni più vivaci sotto questo aspetto è stata quella inaugurata dall’elezione diretta dei sindaci, molti dei quali hanno a cuore le questioni ambientali. Per il resto, a livello nazionale, scontiamo purtroppo una sconfitta storica dell’ambientalismo politico che si è chiuso in una logica contraria al trasversalismo. Abbiamo poi una classe politica particolarmente cieca: siamo l’unico Parlamento in Europa ad aver votato una mozione negazionista sui cambiamenti climatici».
Da tempo Legambiente opera insieme a diverse associazioni e movimenti, tra cui i Focolari. Qual è il valore specifico di questa collaborazione?
«Tutto parte sempre dall’ascolto: imparare da letture diverse della realtà in base ad altre storie e valori contribuisce a costruire un’identità aperta. Nel caso particolare del Movimento dei focolari, la sua capacità di abbracciare ogni aspetto della realtà è particolarmente interessante per noi. Soprattutto sul fronte economico, ora che sta prendendo forma attorno a Legambiente un circuito di attività anche non legate alla green economy, l’esperienza dell’Economia di Comunione può offrire un contributo prezioso».
Il convegno organizzato per il vostro trentesimo anniversario ha come tema “Participio futuro: per continuare a cambiare”: cos’è oggi per voi il cambiamento?
«Il titolo vuol essere una provocazione. Mi ha molto colpito, quando sono stato invitato ad intervenire all’ambasciata britannica, il fatto che lì tutti fossero sotto i 40 anni, mentre la delegazione italiana viaggiava sopra i 50. Per quanto essere giovani o vecchi non sia in sé né positivo né negativo, è chiaro che punti di vista diversi sono la base per un dialogo costruttivo. Per questo alla conferenza abbiamo invitato dei trentenni di oggi che provengono da mondi diversi: non solo ambientalisti, ma uno spaccato della società nel suo complesso. È in corso un forte ringiovanimento all’interno di Legambiente, in parte facilitato dal servizio civile. Si nota soprattutto una nuova dimensione dell’impegno del singolo, in cui gli stili di vita personali hanno anche una valenza politica oltre che etica. In parte è imposta anche da norme, basti pensare alla raccolta differenziata, ma è nata una coscienza della ripercussione sul bene comune delle scelte individuali che negli anni Novanta non c’era. E in questo si ritrova soprattutto la fascia giovanile».