Lega ladrona?

Fine di un ideale o emersione di un DNA?  Capire i perché di un degrado profondo all'interno dei partiti che sta inquinando il nostro ordinamento democratico
Sede della Lega Nord a Milano

E così, scoppia uno scandalo modello “Roma ladrona” doc anche nella Lega Nord. Dobbiamo lasciare lavorare i magistrati, ovviamente, ma la notizia schiude molte riflessioni, che hanno al loro centro i partiti e il loro ruolo pubblicistico, di importanza cruciale per l’implementazione della democrazia in un Paese. Da loro infatti, ancora oggi, passa la effettività e la qualità di un sistema democratico. Proprio in nome del bene (perché legato alla libertà personale e collettiva) che è la democrazia, ai partiti è garantita la possibilità di vivere e operare usufruendo di finanziamenti pubblici.
 
Il pessimo utilizzo di queste risorse che sempre più spesso viene a galla, messo in atto dai partiti più diversi, conduce velocemente alla necessità di riconsiderare le regole dell’intervento pubblico. Esso, in linea di principio, è sacrosanto perché rappresenta la possibilità di non tornare surrettiziamente a una politica di censo o appannaggio di ricche lobby, magari criminali. Però non si può più lasciare deregolamentata la questione: lo Stato erogatore e non controllore è un lusso che evidentemente non ci meritiamo. Benissimo quindi ogni iniziativa perché si riveda la disciplina del finanziamento pubblico ai partiti, sia nella quantità che nelle condizioni per ottenerlo e per renderne conto. Abbiamo capito una volta per sempre che per prevenire fenomeni di parassitismo e di distrazione di risorse a fini privati, non è sufficiente la buona volontà dichiarata e magari scritta negli statuti dei movimenti politici; sono necessarie anche regole precise, controlli e sanzioni. Altro filo da tessere per i cittadini che vigilano sul Parlamento e che sono già impegnati a ottenere una nuova legge elettorale. L’impegno deve estendersi anche alla cosiddetta “legislazione di contorno”, di cui il finanziamento pubblico è parte.
 
Messo a fuoco così il problema nelle sue dimensioni di sistema, però, resta comunque aperta la questione specifica che riguarda la Lega Nord. L’accusa è di quelle che lascia sgomenti: il tesoriere avrebbe effettuato un’allegra gestione delle risorse, utilizzate anche in favore della famiglia del capo carismatico, Umberto Bossi, e di qualche fedelissimo e – addirittura – in attività con soggetti legati alla ‘ndrangheta.
 
Da che si è diffusa la notizia, tutti i commentatori hanno dato fondo al vocabolario delle meraviglie: come, quoque la Lega? Anche la forza dura e pura, fustigatrice dei costumi romani, inciampa nell’occasione (Stato generoso e maglie larghe della legge) che fa l’uomo (il tesoriere, dalla biografia non specchiatissima) ladro! Che addirittura ricorre (inaspettata propensione sudista) ai buoni uffici mafiosi! È vero che la vicenda della Lega è particolare. Però, per chi l’ha sempre vista come espressione organizzata e riuscita della vera (e dannosa) anti-politica, in fondo non se ne meraviglia poi così tanto.
 
Se la politica la si disprezza, se nei palazzi si entra da nemici, se si dimostra ogni disistima verso le cariche istituzionali, se il proprio obiettivo è dividere mettendo cose e persone contro altre cose e persone, be', dove sono le radici per coltivare un vero rigore? La coerenza richiede presupposti chiari, veri e non in contraddizione con altri. La pretesa della Lega è quella di fondare sé stessa su un minimo di moralità in un ambito, l’antipolitica (espressa plasticamente dal cappio esibito dentro il Parlamento), e su un massimo di moralità in altro ambito, la dichiarata presa di distanza dai comportamenti e status symbol dei politici di professione. Ma a guardar bene, e pur dovendo salvare le sincere adesioni di tanti iscritti e amministratori, probabilmente la stragrande maggioranza, le due cose non possono reggere a lungo. Il tasso etico è e deve essere uno solo. E la Lega purtroppo ha dato prova talvolta di un certo degrado (verbale, di concetti, ma anche umano tout-court), al punto che la dichiarata correttezza e irreprensibilità apparivano niente più che una foglia di fico. Ecco quindi, ad esempio, che se si scopre che per la carica di tesoriere era stato scelto un individuo poco raccomandabile (fatto anche sottosegretario e amministratore di Fincantieri!), non ci si può appellare al tradimento.

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