L’educatore pellicano

Nuove strategie relazionali per rispondere ai bisogni emergenti dei bambini

La natura ci offre il prototipo dell’educatore: il pellicano vola alto, per avere una visione chiara e completa; vede i pesci nel mare e sceglie il cibo buono per i piccoli; prende i pesci, li mastica, poi li porge ai piccoli come sono in grado di prenderli.

Il pellicano vola alto
L’educatore sa vedere la realtà (e il bambino) nel suo insieme, sa intravedere, al di là dell’evento, il messaggio nascosto. I sistemi educativi basati su paura e rigidità si scontrano con un mondo che cambia, mentre quelli senza norme regolatrici sono figli di una cultura narcisista. Se una ragazzina di dieci anni sente (o le è stato detto) di essere timida, e si chiede cosa fare, potremmo suggerirle la possibilità di diventare una donna attenta, premurosa, che si prenderà cura degli altri. Qui c’è tutta la relazione educativa: è sufficiente avere una visione positiva del suo carattere per permetterle di utilizzare i suoi punti di forza. La stima di sé, l’accettazione della propria fragilità e la convinzione delle proprie risorse sono atteggiamenti fondamentali per ciascuno.

Il pellicano vede i pesci nel mare
Il bambino contiene un progetto potenziale, che si fatica a vedere, ma che sappiamo esserci. È la spinta propulsiva verso l’alto, verso altro da noi, che ci trascende e ci comprende. Si scopre che la nostra identità è possibile solo grazie ai rapporti con gli altri e alle cure di chi ci ama. Son cinque, infatti, le caratteristiche degli esseri umani: siamo relazione; siamo programmati per l’amore; il vero genera gioia e il falso tristezza; è sempre possibile ricominciare; possediamo un terzo orecchio aperto al trascendente.

Siamo relazione
Gli studi sulla violenza indicano nell’incapacità di vivere le emozioni dell’altro la causa principale dell’aggressività verso gli altri. Per questo, un’educazione precoce, impostata sul rispetto reciproco e sulla considerazione degli altri come costitutivi di se stessi, dovrà prendere spazio per la costruzione della grande famiglia umana, in cui le categorie di patria, etnia, stato, continente vengono superate per lasciare spazio all’unica categoria della fratellanza universale.

L'educatore deve vivere in prima persona i valori che insegna
L’educatore deve vivere in prima persona i valori che insegna

Siamo programmati per l’amore
Ogni volta che abbiamo a che fare con esperienze d’amore sentiamo la nostra vita avanzare, maturare, fiorire. L’amore è il desiderio presente in ciascuno di donarsi, di cercare affetto e solidarietà.

Il vero genera gioia e il falso tristezza
Una persona realizzata è felice. La realizzazione non consiste nel possesso dei beni, ma nel sentire che è valsa la pena essere nati e soprattutto che siamo immensamente amati. Ma la gioia è strettamente legata al vero, che genera gioia, condivisione, solidarietà. Il falso, invece, dopo una breve attrattiva e seduzione genera rovina e tristezza.

È possibile ricominciare
Siamo creature che commettono errori. Sarebbe una tragedia non poter rimediare riconoscendo i nostri sbagli e chiedendo scusa. È possibile salvarci insieme, mettendo le nostre fragilità al servizio dell’amore.

Possediamo un terzo orecchio aperto al trascendente
Ciascuna persona è dotata di un sentire interiore che ricorda le esperienze più significative e profonde. È una dimensione che orienta la nostra intelligenza, ci sprona a scegliere quello che riteniamo più importante. Abituare i bambini a riflettere e conoscere quanto si ripercuote nel loro intimo, e ad agire di conseguenza scegliendo quello che la loro intelligenza ritiene come bene, è uno dei compiti più importanti dell’educatore.

Il pellicano prende i pesci e li mastica
L’educatore deve considerare chi ha di fronte, adattando il linguaggio e il metodo affinché venga compreso. L’educatore, poi, conoscendo i valori, li vive e li sperimenta in prima persona, fino a fare di essi il motivo della sua vita. Tutto questo si traduce in una parola: coerenza.
La menzogna e il falso accompagnano l’evoluzione dell’umanità, determinando guerre e ingiustizie. Per far prevalere la verità, che attira, serve condivisione, coerenza non solo personale, ma anche collettiva.

La madre sa prendere su di sé l'angoscia del bambino, restituendogli amore e tenerezza
La madre sa prendere su di sé l’angoscia del bambino, restituendogli amore e tenerezza

Il pellicano dona i pesci ai piccoli nel modo in cui sono in grado di prenderli
Non è sufficiente donare. A volte il dono può essere invadente, o sottintendere il desiderio di essere ricambiati. Invece deve essere disinteressato, gratuito, espressione di amore all’altro per come è. L’altro deve sentire che la testimonianza amorosa avviene per pura amicizia disinteressata. Gli atteggiamenti alla base del donare sono quattro: ascolto, parola, sacrificio, sostegno.

Ascolto.
Occorre pensare il bambino come un pianeta sconosciuto, affascinante e nuovo. Quante volte i genitori tendono ad attribuire ai piccoli emozioni, pensieri e sentimenti che non sono veri! Sono solo proiezioni di sentimenti nascosti dei genitori, i quali hanno desideri e aspettative particolari. L’ascolto profondo è invece il presupposto per un rapporto empatico col bambino.

Parola.
Occorre sempre parlare al bambino! La “parola” sostiene, umanizza, mentre il silenzio e l’inganno “animalizzano” il bambino, che si sentirà escluso dalla comunicazione. La parola inoltre “umanizza” la sofferenza, dando la possibilità a chi ne è colpito di gestirla e viverla in modo non traumatico. Non tutte le parole però sono adeguate. L’educazione deve essere un processo che rende liberi e autonomi, in un processo di comprensione e condivisione.

Sacrificio.
La madre è in grado di prendere su di sé il pianto e l’angoscia del piccolo, restituendogli in cambio tenerezza, dolcezza e amore. Il bambino potrà in seguito amare perché qualcuno l’ha amato prendendo su di sé la sua angoscia. Cure adeguate, sostegni appropriati e sacrifici pertinenti, accompagnati dall’ascolto profondo e da parole adatte, sono ingredienti vincenti per la crescita del bambino. Questi atteggiamenti di fondo entreranno a far parte dello stile di vita del bambino. Fin dal primo anno, il bambino “interiorizza” i genitori, portandoli in sé, insieme alle modalità relazionali e comunicative vissute.

Sostegno.
I genitori devono favorire il distacco dei figli, altrimenti possono comparire manifestazioni patologiche di eccessivo attaccamento. Il sostegno però richiede alcuni presupposti come quello di vedere sempre il positivo dell’altro e soprattutto di vederlo sempre nuovo, nell’attimo presente.

Il filosofo ebreo, Martin Buber (1878-1965), sosteneva che per un rapporto autentico l’educatore deve saper: mettersi nei panni dell’altro (ascolto e sacrificio); comunicare all’altro ciò che sente dentro di sé (parola e sostegno); infine, a seconda dell’età, lasciare libero l’altro. Questa libertà, frutto dell’amore, lascerà l’eredità più preziosa: la parola amorosa che risuona dentro di sé.

(Questo articolo è estratto dal libro Verso l’uomo, di Aceti-Moran, Città Nuova editrice)

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