L’Edipo giovane e tormentato di Pecci

A Siracusa per il ciclo degli spettacoli classici dell'Inda torna nella cavea del teatro greco la storia del re di Tebe, maledetto dal fato, costretto a sposare inconsapevolmente la madre dopo aver ucciso, ignaro, il padre. Un giallo a cui da corpo il giovane attore romano
Edipo di Pecci

Da frequentatore abituale degli spettacoli classici dell’Inda di Siracusa, continuo a ribadire, e non sono il solo, due semplici cose: che ogni regista che si appresta alla messinscena della tragedia chiamato a rappresentare, non copra per intero, con scenografie ingombranti, lo splendido scenario naturale che si estende nella suggestiva cavea del teatro greco, privandoci di quella vista di verde che è un tutt’uno con le pietre antiche.

Questo, purtroppo, è quasi impossibile, dato che da qualche anno – si usano i microfoni e non si lascia alla sola voce degli attori il suono e la potenza delle parole. Perché, questo luogo unico al mondo, ha leggi proprie, che vanno rispettate anche nei vincoli che pone. Vincoli che sono anche stimoli per un regista. Detto questo, la suggestione di questo rito annuale vince su qualsiasi altra obiezione, persino sulla qualità o meno dello spettacolo rappresentato. Spettacolo riuscito, e accolto con successo, è l’Edipo re del regista Daniele Salvo. Il personaggio più emblematico nella tragedia greca che ignora la sua sorte in quello che viene considerato il primo giallo della letteratura e che il suo autore, Sofocle, destina ad indagare su se stesso, ignaro di essere investigatore e colpevole allo stesso tempo.

Alla domanda di un giornalista rivolta a un celebre attore di teatro su cosa si prova a dover morire in scena tutte le sere, questi rispose: “Ma quando io entro in scena non so ancora di dover morire!”. Se non lo sa l’interprete a maggior ragione il personaggio. Ho ripensato a questo episodio davanti alla messinscena di Daniele Salvo considerando che egli ha voluto evidenziare l’ambiguità racchiusa nel testo: il fatto che tutti, invece, consapevolmente o meno sanno, o fingono di non sapere, la verità sul re di Tebe indotto dal Fato a uccidere il padre e sposare la madre dalla quale sono nati due figli.

In questa Tebe omertosa, via via ci si trova al centro di un incubo, di un sogno che non è salvifico. Si entra in una dimensione onirica, freudiana, come fosse una sorta di processo che lo stesso Edipo intenta nei suoi confronti, in una specie di autoanalisi. E Salvo lo evidenzia anche nell’incubo color rosso, dove il protagonista rivive in sogno la colpa dell’incesto e gli avvenimenti a lui oscuri.In sintesi: Edipo, sposo di Giocasta, vedova del re Laio rimasto ucciso a un crocevia, regna su una città devastata dalla pestilenza. Affinchè si possa ritornare al benessere l'oracolo di Delfi consiglia di scoprire l’assassino, rimasto ancora impunito. Edipo scoprirà non soltanto che il vecchio re era suo padre, ma anche che era l'uomo da lui ucciso in una lite. Accanto al cadavere di Giocasta, sua sposa e madre, toltasi la vita nell’apprendere la verità, Edipo si strappa gli occhi, affidando al cognato Creonte il suo regno.

L’ineluttabilità del destino, per cui conoscere il proprio futuro non significa poterlo evitare; e il riconoscimento di se stesso, ossia dell’uomo che crede di essere "uno" e poi si scopre di essere "un altro", sono i temi principali della tragedia sofoclea. Che arrivano al pubblico grazie anche a una messinscena altamente spettacolare che sfrutta sapientemente la grande cavea dove al calar della sera luci e fuochi finali ne illuminano ulteriormente l’atmosfera. Si carica di suggestioni la scena con l’enorme testa di Sfinge (dagli occhi della quale uscirannoinfine lacrime di sangue) che campeggia dentro il muro di cemento pensato dallo scenografo Maurizio Balò nel quale si apriranno una serie di porte quali vie di esilio dell’Edipo accecatosi. Ad accompagnarlo c’è un inquietante angelo nero (lo spettro della Sfinge impersonato da Melania Giglio) che avremo visto all’inizio sorgere da una buca, e apparire a più riprese, intonando vocalizzi in greco antico sottolineati dalla colonna sonora,dal suono sinfoniconon convenzionale, di Marco Podda,di grande coinvolgimento emotivo. A prevalereè il colore nero. Anche nei costumi. Vestito di lunghe tuniche scure è pure il Coro, coperto da maschere di lattice dalle fattezze di vecchi, quasi una massa organicache si trascina appoggiata a lunghi bastoni.

A reggere il ruolo principale è Daniele Pecci, un Edipo giovane, dinamico, il cui lavoro su una recitazione antiretorica e alla ricerca di una verità contemporanea, sortisce una credibilità interpretativa dai toni combattivi e una fisicità dirompente. Nella seconda parte,con sensibilità moderna, muta in una più tragica consapevolezza calandosi nell’archetipo dell’uomo alla ricerca della verità, che vuole conoscere a fondo se stesso, costi quel che costi.Gli è a fianco Laura Marinoni, nel ruolo di Giocasta, portando un tipo di femminilità che ne fa una sposa ancora sensuale e una madre tormentata. E sono da ricordare l’intenso indovino Tiresia di Ugo Pagliai, l’autorità del Creonte di un vigoroso Maurizio Donadoni, Mauro Avogadro nel doppio ruolo di sacerdote e servo di Laio,  il primo nunzio di Francesco Biscione, e quello della reggia di Graziano Piazza, nell’impegnativo monologo del nunzio che annuncia e descrive la morte di Giocasta.

(foto Giuseppe Distefano)

“Edipo re” di Sofocle, regia Daniele Salvo. XLIX Ciclo di Rappresentazioni Classicheal teatro greco di Siracusa, a giorni alterni con “Antigone” di Sofocle per la regia di Cristina Pezzoli, fino al 23 giugno.

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