L’Edc lancia l’Osservatorio sulla povertà
Un osservatorio sulla povertà che, sulla base di un piano di lavoro biennale, sviluppi un sistema informativo per monitorare gli effetti degli aiuti dell’Economia di Comunione a livello globale, e studi alcuni casi specifici significativi per i risultati ottenuti o le metodologie adottate: è questo uno degli ulteriori passi avanti recentemente compiuti nell’affrontare le molteplici forme di povertà, con la nascita dell’Osservatorio sulla povertà EdC-Opla. A presentarlo è stata la direttrice operativa Licia Paglione durante il forum “La ricchezza delle povertà invisibili”, tenutosi a Loppianolab nell’ambito della convention EdC. Un incontro con lo scopo non solo di analizzare le diverse forme di disagio in cui il termine “povertà” può essere declinato, ma soprattutto di confrontarsi su esperienze che concretamente le stanno affrontando.
Un percorso mosso dalla consapevolezza che, come ha sottolineato l’economista Luigino Bruni, “nel parlare di povertà bisogna evitare di cadere in due errori: da un lato ritenere che la povertà in fondo non esista perché siamo tutti poveri di qualcosa, e generalizzandola in maniera tale da non individuare le differenze che esistono tra le varie forme di povertà; e dall’altro romanticizzarla, cosa che di solito fa chi non l’ha mai vista. Dobbiamo invece ricordarci innanzitutto che non c’è la povertà, ma i poveri; e che ci sono ricchezze dei poveri che i ricchi non conoscono, e che possono incontrarsi con le povertà dei ricchi in un reciproco vantaggio”.
Di qui una serie di esperienze portate avanti nei contesti più disparati, e nate per rispondere a “povertà” diverse. Oltre alla necessità di studiare e monitorare espressa dal neonato Osservatorio, è emersa quella di fare rete: “Cosa che a parole fanno tutti, ma chissà perché è sempre difficile trovare qualcuno che la faccia con me” ha osservato Gianni Salvadori, segretario generale della Confederazione Nazionale delle Misericordie – che non a caso riunisce circa 700 associazioni. Un fare rete che deve coinvolgere realtà associative, istituzionali, private, come evidenziato dall’esperienza portata avanti in Val d’Elsa da una sessantina di soggetti diversi con il progetto Win – Welfare d’Iniziativa: un percorso nato, come raccontato da Claudio Freschi, “da due bisogni: quello dei nuovi poveri di fronte alla crisi, e quello di istituzioni e associazioni che non ce la facevano più”. Nel 2014 si è arrivati alla sottoscrizione di una “Carta per una responsabilità sociale condivisa” firmata da Comuni, sindacati e associazioni, che introduce il concetto di “sussidiarietà circolare” (sia verticale che orizzontale al tempo stesso); e ora “il passo successivo è coinvolgere la popolazione, per un welfare di comunità”.
E la comunità è un altro dei soggetti chiave per il superamento delle varie forme di povertà, per arrivare non all’integrazione – spesso intesa come accettazione passiva di chi ne soffre – ma all’inclusione – ossia al suo farne parte a pieno titolo e con pari dignità: è stata l’esperienza portata da Giulia Di Piazza dell’Unione Italiana Ciechi che, dopo aver perso la vista a causa di un meningioma, ha scoperto come “anche la malattia può essere una forza generatrice se condivisa”. Per lei ha significato scoprire quei “fratelli che non avevo mai visto, gli altri 7 mila Ciechi di Palermo”, nonché lo sport – è timoniere di vela d’altura – e i suoi studi di Economia, con la proposta di diventare segretario generale dell’Aipec. Ma l’inclusione è stata l’esperienza fatta anche dalla Onlus Romamor con l’accoglienza di 19 migranti a Casa Carlotta, raccontata da Dino Impagliazzo e Paula Luengo, e dall’imprenditore Carlo Colombino nei confronti dei dipendenti stranieri.
Studio, rete, circolarità e inclusione si pongono dunque come le chiavi per affrontare le vecchie e nuove povertà, da quelle materiali a quelle relazionali; nella consapevolezza che, per dirla con Salvadori, “Quando ci mettiamo insieme i nostri sforzi non si sommano: si moltiplicano”.