L’economia civile di Albert Hirschman

Albert Hirschman è stato uno degli economisti più creativi e audaci del ventesimo secolo e ha saputo offrire alla riflessione economica e sociale contributi fortemente innovativi. Un approfondimento
Albert Otto Hirschman

L’11 dicembre, all’età di 97 anni, si è spento negli Stati Uniti Albert Hirschman, uno degli economisti più creativi e audaci del ventesimo secolo (ha insegnato a Yale, Columbia, Harvard e Princeton). Ebreo berlinese, esule in Francia nel 1933 (dopo l’avvento di Hitler al potere), divenuto cittadino americano nel 1943, Hirschman ha offerto alla riflessione economica e sociale contributi fortemente innovativi, ponendosi in rapporto dialettico nei confronti della teoria mainstream.

Benché Hirschman sotto il profilo politico appartenesse al fronte militante-progressista, il suo pensiero presenta parecchi punti di contatto con la tradizione italiana dell’economia civile. Anzitutto, si è contraddistinto per un approccio anti-riduzionista e per la tensione a superare la parsimonia antropologica del paradigma neoclassico. Nei suoi articoli compaiono, con largo anticipo, parole divenute nel frattempo di grande attualità nel dibattito contemporaneo sull’economia civile: felicità, fiducia, preferenze e valori, amore e spirito civico, spiazzamento delle motivazioni intrinseche, azioni strumentali versus attività affettive ed espressive.

Pregevole fu la sua analisi del capitalismo, nel volume Le passioni e gli interessi del 1977; la modernità fondata sulle relazioni di mercato rappresenterebbe il tentativo di fondare il legame sociale sugli interessi, allo scopo di neutralizzare passioni considerate ben più nocive e tristi. In Felicità privata e felicità pubblica, saggio del 1982 tornato di grande attualità nel corso della primavera araba e delle recenti manifestazioni degli indignados in Spagna e a Wall-Street, viene affrontato con grande profondità il tema dello spostamento ciclico degli interessi: dalla concentrazione esclusiva sul consumo privato, al successivo spostamento di attenzione sulla sfera pubblica e sul bene comune, ad un ritorno di fiamma dell'aspirazione ad un maggior benessere materiale.

La sua opera più celebre fu senza dubbio Exit, Voice and Loyalty, un libro che analizza il nesso tutt’altro che scontato tra il meccanismo della defezione (“exit”) e quello della protesta (“voice”). Mentre il primo è lo strumento per eccellenza a cui si fa abitualmente ricorso nei mercati, il secondo trova maggiore applicazione nella sfera politica e nella società civile, ossia in contesti nei quali l’uscita rappresenta spesso una scelta molto costosa o addirittura traumatica.

L’intuizione del 1970 fu che la presenza di entrambi gli strumenti, uno accanto all’altro, potrebbe non giovare alla causa, soprattutto quando la dimensione su cui si svolge il gioco della competizione è la qualità. Così come l’opportunità di uscire “a buon mercato” da un legame (economico o sociale) può togliere forza alla protesta, il soffocamento della protesta in un’organizzazione può rendere ineluttabile la defezione. Il fatto di aver agevolato il divorzio nelle società occidentali (determinando un’uscita sempre meno traumatica dalle relazioni matrimoniali) potrebbe ad esempio aver causato una riduzione negli sforzi profusi dai coniugi per migliorare la comunicazione nella coppia e per cercare una via di riconciliazione. Ma in altre situazioni i due strumenti possono diventare preziosi alleati. Nei giorni del crollo del regime comunista, nella Repubblica Federale Tedesca, defezione e protesta si rafforzarono a vicenda. L’esodo di massa dei giovani verso Berlino Ovest ebbe l’effetto d’impressionare e rattristare alcuni dei cittadini più leali, che non pensavano affatto di andarsene dal paese. Quando le loro preoccupazioni furono abbastanza forti, essi decisero di parlare con franchezza e di rovesciare il governo comunista.

La vita ed il pensiero di Hirschman furono segnati da una vocazione profonda al dialogo interdisciplinare: l’Hirschman economista non smise mai di attraversare il confine di altre discipline, vestendo i panni ora dello “scienziato politico” ora di altre scienze sociali (quali la sociologia, la storia, l’antropologia o la filosofia). Hirschman non si sentiva attratto dalla semplice comprensione della realtà e dei fatti. Egli avvertiva in sé il desiderio di trasformare il mondo, per renderlo migliore e per questo nella sua vita e nel suo pensiero cercò di “combinare l’attivismo politico con un’interrotta ricerca della verità”.

Straordinaria fu la volontà con cui si sforzò di superare ogni forma di autoritarismo, anche intellettuale, e di narcisismo. Nell’età della maturità Hirschman si dedicò in modo sistematico alla decostruzione dei propri punti di vista, criticando e cercando i punti deboli nelle sue stesse teorie. Nel riconoscere i limiti del proprio pensiero, egli seppe cogliere l’opportunità per individuare ambiti del mondo sociale in cui le relazioni originariamente postulate non erano del tutto valide, compiacendosi delle nuove complessità portate alla luce.

Un esempio emblematico di auto-sovversione fu il pamphlet The Rhetoric of reaction, scritto con impeto battagliero per stigmatizzare la retorica e le posizioni di politica sociale ed economica della destra neo-conservatrice americana. Giunto all’ultimo capitolo del libro, Hirschman non poté fare a meno di spostare la propria attenzione sugli argomenti retorici in cui erano solite cadere le forze progressiste. Da un attacco di parte alle posizioni neoconservatrici, il volume si  trasformò così in una denuncia generale di tutte le retoriche dell’intransigenza. Alcuni anni più tardi, Hirschman confessò di aver avvertito un imperativo categorico a proseguire nella stesura del libro, senza autocensurarsi, nell’intento di incoraggiare chiunque  ad evitare quel dialogo tra sordi che impedisce la comunicazione genuina fra gruppi rivali, ovvero la cifra di ogni democrazia. 

Si è spento un grande maestro, ma le sue intuizioni rimangono più vive che mai e la sua onestà intellettuale ci lascia una preziosa eredità: la certezza che un autore è davvero grande quando la sua vita ha saputo essere all’altezza dei suoi scritti.

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