Leader di comunione

 
Gandhi

Un recente viaggio negli Usa mi ha fatto riflettere su un aspetto che caratterizza in qualche modo la cultura contemporanea. Si tratta del modo di esercitare la leadership nei diversi contesti sociali.
In genere, si è soliti pensare che il leader debba essere un individuo dalla forte personalità, dotato di un carattere indomabile e con un potere di convinzione capace di trascinare gli altri verso obiettivi da lui individuati e fatti passare come esigenze reali e profonde di tutti.
Susan Cain, sociologa nordamericana, ha dedicato buona parte della sua ricerca universitaria all’analisi di quel tipo di personalità “estroversa” che, a suo parere, ha contraddistinto la figura del leader nella sua nazione, in modo particolare dai primi decenni del XX secolo. Quel tipo di individuo magnetico, affascinante, magnifico, attraente, luminoso, dominante, deciso, energico, che l’America del Nord ha voluto trasmettere come immagine di se stessa, si è imposto in buona parte del mondo come emblema o simbolo del leader.

In un suo libro del 2012 (Quiet, il potere degli introversi, Bompiani), la Cain ci dice che le cose stanno cambiando, da un po’ di tempo a questa parte, e che un nuovo tipo di personalità sta emergendo: è appunto l’introverso, la persona riflessiva, che con la sua pacatezza concentra sempre di più l’attenzione negli ambienti sociali e comincia a esercitare una leadership del tutto diversa da quella usuale.
Mentre il leader tradizionale, “estroverso”, privilegia l’azione rispetto alla riflessione, il nuovo tipo di leader fa il contrario: preferisce prendere del tempo per capire prima di intraprendere qualsiasi iniziativa. Per lui il pensiero non è sospettoso, come pensa il leader attivista, e soprattutto non è segno di inutilità.

Un esempio luminoso di leader “introverso”, per usare la categoria della Cain, è Gandhi. Quando si reca nella capitale per intervenire al Congresso, ha alle sue spalle migliaia di chilometri in treno, avendo visitato i villaggi di tutto il suo sterminato Paese. Prende la parola semplicemente per mettere in luce la situazione reale della gente. Nella sala si fa un silenzio incredibile. È nato un leader, quello della non violenza, che porterà la sua millenaria nazione fino all’indipendenza dall’Inghilterra.
Al giorno d’oggi costatiamo che tanti individui formati a esercitare una leadership coi connotati dell’estroversione dominante ed energica, hanno in realtà i piedi di fango. La loro è una forza di cartapesta. Soprattutto non trasmettono convinzioni perché, in definitiva, sono carenti di pensiero.

Ben venga allora questo nuovo tipo di leadership. Ne abbiamo bisogno. Direi che il mondo necessita oggi di “leader di comunione”, persone decise, convinte e anche energiche, capaci di privilegiare il “noi” al di sopra del solo “io”. Coscienti che la forza proviene dal “fare comunità”, piuttosto che dalla separazione. Persone che suscitano consenso, che invertono la tendenza alla competitività snervante, trovando spazio per tutti, anche per i più deboli.
Il “leader di comunione” privilegia l’ascoltare rispetto al parlare, il tempo allo spazio, la mitezza alla violenza, il lasciare fare gli altri al fare in prima persona, il servizio al guadagno, l’amore all’egoismo, l’accordo all’imposizione, la sapienza all’ideologia.

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