Le urgenze e le novità dell’educazione
Educare alla vita buona del Vangelo è il titolo delle nuove linee pastorali della Cei per il decennio 2010-2011. In primo piano il tema dell’educazione e la necessità da parte della Chiesa di rifocalizzare il proprio ruolo in questo processo. Nel capitolo 5 in particolare si legge: «L’educazione, infatti, se è compito di sempre, si presenta ogni volta con aspetti di novità. Per questo non può risolversi in semplici ripetizioni, ma deve anzitutto prestare la giusta attenzione alla qualità e alle dinamiche della vita sociale». Abbiamo chiesto a Michele De Beni, autore del libro Educare. La sfida e il coraggio per l’editrice Città Nuova, una riflessione su queste tematiche.
Cosa emerge esattamente dagli Orientamenti pastorali?
«Educare alla vita buona del Vangelo è un lungimirante contributo per l’orientamento e il discernimento del credente circa la situazione dell’educazione. Vengono qui segnalate anche criticità e attese, ma soprattutto finalità e piste stimolanti di riflessione. Quello che più mi ha colpito- e penso costituisca la struttura portante dell’intero documento- è il secondo capitolo in cui si approfondisce lo sfondo teologico-biblico della visione educativa cristiana centrata sull’esempio e sull’insegnamento di Gesù, il Maestro. Come Chiara Lubich afferma, “non sono i libri, le aule, gli studi …che… fanno scuola”, ma è la presenza di un Maestro, di Gesù, con le sue “lezioni molto particolari, che non hanno niente a che fare neanche con i più grandi maestri della terra”1. E ciò potrebbe apparire agli uomini, anche ai più saggi, come una “scienza che è stoltezza”, cioè “non ragionevolezza”, in quanto non centrata esclusivamente sulla ragione.
Ciò comporta una rinuncia alla laicità dell’educare?
Gesù Maestro come modello è provocante forza educativa, è esemplare paradigma di connessione Parola-Vita, che riassume in sé, pienamente, le caratteristiche della realtà e dell’utopia, della temporalità e della trascendenza. Una “scuola tutta speciale” che non richiede la rinuncia alle conoscenze umane, né all’autonomia della scienza, ma la salvaguardia del legame che intercorre tra i mutevoli atteggiamenti e il senso ultimo totale della realtà. E’ alla scuola di Gesù che prendono forma tutti gli altri significati. Egli è il Senso Infinito che raccoglie i diversi significati finiti. La pedagogia di Gesù non intende affermare che la comunità non abbia bisogno di maestri, ma che un maestro è tale se in grado di orientare la propria vita non su se stesso ma verso Lui, che è Amore. E l’amore è servizio dell’uomo all’uomo, da fratello a fratello: un invito ad usare il potere (quindi anche il potere educativo) non come dominio, ma come responsabilità reciproca. Nessun rischio per la laicità».
Dove, allora, va ricercato il tesoro dell’educazione?
«Di per sé, l’educazione è il vero tesoro dell’umanità. Lo hanno ben compreso quei governi che più investono nello sviluppo dell’educazione. Ne va del futuro non solo culturale, ma anche economico e scientifico. Mi sembra, tuttavia, che ci sia una specie di fraintendimento da superare, cioè quello che tenta di rappèresentare l’educazione come una specie di supermercato tecnologico o di sistema aziendale. Non bisogna dimenticare che l’educazione non è solo scambio di conoscenze, perché non riguarda solo il sapere e la scienza: poiché essa impegna la vita, è prima di tutto una questione di amore, di condivisione di una medesima saggezza. Mi viene in mente uno slogan di qualche anno fa che cercava di racchiudere l’educazione scolastica in tre I: Inglese, Impresa, Internet. Evidentemente, tre buoni obiettivi, ma non sufficienti a far dell’istruzione una vera opportunità educativa. Ben più acute e impegnative mi sembrano le tre I, che il famoso psicologo americano Howard Gardner indica come finalità basilari per l’educazione del XXI^ secolo: Intelligenze (sviluppo integrale della persona e di tutte le sue forme di intelligenza), Intuizione (capacità creativa e d’innovazione), Integrità (l’essere virtuoso dell’uomo, rivolto al bene). Questioni che portano direttamente il discorso educativo al centro dell’essere e del dover essere, del senso del pensare e dell’agire, che nel mio libro ho cercato di declinare attraverso tre grandi prospettive: l’educazione al “sentire”, cioè alle emozione e ai sentimenti; al “pensare”, cioè all’uso riflessivo della propria mente; all’”amare”, cioè all’orientamento costruttivo della propria vita per il bene comune».
Oggi sono diverse le metodologie da applicare?
«Il rischio, non troppo remoto, è che ci si aggrappi esclusivamente a una tecnologia o a un metodo. Perché educare richiede principalmente far incontrare il giovane con la sua libertà, sostenendolo nel discernimento, nelle scelte e nei comportamenti. E’ far sì che insieme si scopra come dare un senso buono alla vita propria e altrui. Per questo, non servono solo competenze tecnologico-scientifiche, pur indispensabili. Occorre orientare la vocazione educativa e ritrovare quella passione vera, che è cura della relazione e amore per la persona, al di là di ogni sua condizione, E’far sentire ogni giovane che ci viene affidato degno di fiducia, perché a sua volta guardi con fiducia alla vita, vedendo tutti come fratelli, degni di essere amati. Non può esserci paradigma più elevato, coraggioso e ineffabile, per l’educazione che l’amore, quale risposta al connaturale dover-essere dell’uomo».