Le universitarie contro il machismo

Scioperi studenteschi, atenei occupati. Una mobilitazione per mettere fine alla cultura maschilista dell’abuso, delle molestie e di una violenza strisciante che per anni ha mietuto vittime nel silenzio. Ma è ora di sradicarla.
AP Photo/Luis Hidalgo

In Cile varie università sono occupate e in una ventina di atenei da settimane non si fa lezione. Il motivo è la reazione al maschilismo, alle molestie sessuali ed alla pratica dell’abuso per troppo tempo tollerato nelle aule e nei corridoi. Alla testa della protesta ci sono studentesse e collettivi femministi che hanno cominciato a dire «basta» prima di tutto al delitto, ma anche a pratiche indecenti ed offensive, al silenzio complice delle autorità universitarie, ai comportamenti di qualche docente convinto che essere un luminare della scienza assicuri anche l’impunità. Me lo confessa il direttore di una facoltà: «Sappiamo che ci sono alcuni docenti che fanno spesso insinuazioni spinte. Ma tra colleghi non si sa bene come agire». Eppure tutto ha un limite.

Oggi che il tema è al centro dell’attenzione e la sensibilità nei confronti delle donne è maggiore, sono cominciate a fioccare le denunce ed i giudizi interni seguiti da licenziamenti. Far luce sta cominciando a prevalere sul silenzio e la discrezione «per evitare lo scandalo». Una logica inaccettabile con effetti perversi. Ne sa qualcosa la Chiesa cattolica cilena che, seguendola, ha creato un bubbone peggiore, che lo stesso Papa ha stigmatizzato come «cultura dell’abuso e del silenzio».

«Siamo stanche di soffrire molestie», affermano le studentesse «e siamo stanche dell’omertà attorno a questi fatti». Solo la “Segreteria di sessualità e genere” dell’Università del Cile ha registrato lo scorso anno più di 20 denunce di alunne, docenti, ricercatrici e funzionarie per molestie, abusi ed altri tipi di dimostrazioni di violenza contro la donna. Ma all’interno di questo organismo fanno sapere che è solo una piccola parte della realtà, perché spesso i fatti non vengono denunciati. Un gruppo di circa 120 alunne della facoltà di Diritto, nientemeno della Cattolica di Santiago, un bastione della difesa dei principi della morale sessuale, hanno pubblicato settimane fa un imbarazzante lettera aperta nella quale citavano frasi pronunciate da docenti della casa di studio. «Lei è venuta a sostenere un esame o a farsi mungere?», avrebbe affermato un professore a una studentessa alludendo alla sua scollatura. Per un altro professore «bisogna esigere di più alle donne brutte, perché le sciocche lo stesso trovano marito, ma brutte e sciocche chi le sopporta?».

Nel prendere atto di tali espressioni per radio, una giovane avvocatessa ha fatto sapere ai conduttori del programma: «Mi sono laureata in Legge col massimo dei voti, ma il mio esaminatore lo stesso mi ha consigliato di cercarmi un buon marito avvocato». Ma se l’abuso è un reato denunciabile, non lo è la stupidaggine alla quale si aggiunge la pretesa di spacciare come insegnamenti idee distorte, come quella del docente della Cattolica convinto che «quando un uomo vede una donna e sente voglia di violentarla non è altro che un disordine nelle sue inclinazioni naturali». Una affermazione pronunciata con tutto il peso del potere che esercita un docente che non è per niente facile contraddire e che segnala il grado di penetrazione di certe idee.

È per questo che la protesta in Cile abbraccia anche il reclamo per una educazione che riveda la sua impostazione, frequentemente maschilista o discriminatrice. Un esempio lo sono certe materie considerate come più «adatte» alle donne, come Letteratura, Comunicazione o Arti visive, mentre Matematica o Filosofia sarebbero materie più maschili. Una concezione che poi sfocia nel mondo del lavoro con una discriminazione evidente: le donne guadagnano tra il 20 e il 30% di meno degli uomini ed appena il 2% dei posti di governo nel Paese sono occupati da donne.

Le proteste hanno fatto sì che un buon numero i rettori abbia appoggiato la mobilitazione manifestato la propria solidarietà. In varie facoltà si moltiplicano seminari, giornate di riflessione, assemblee di alunni, docenti e personale. «Ho inserito la questione tra i contenuti della mia materia» mi commenta un professore di etica professionale. «È l’occasione per riflettere insieme agli alunni, perché dobbiamo sradicare questa mentalità», mi conferma il rettore di una università del nord. Sì, pare che sia proprio il momento di cominciare a superare una mentalità che non ha prodotto proprio niente di buono, tollerata come un fatto naturale durante troppi anni.

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