Ucraina, le trattative impossibili
Un fine settimana di incertezze e minacce, di notizie false e di notizie invece purtroppo vere. Siamo sommersi da una valanga di immagini dai campi di battaglia, ognuno è ormai fotografo e cameraman col suo cellulare. La crisi ucraina sembra vissuta dal mondo intero più sui social che sul terreno. Purtroppo, in realtà si muore sul serio, si resta feriti, o intossicati, o impauriti, o si fugge, o si piange, o si cura, o si spera. Si piange, e molto, e oggi anche si spera contro ogni speranza, almeno qualche ora, nei primi contatti che hanno luogo proprio in queste ore a Homel o Gomel, città del sud della Bielorussia, a un tiro di schioppo dalla “riserva naturale del fiume Pripat”, che in realtà è la minacciosa area contaminata dalla centrale di Chernobyl. Uno scenario spaventosamente evocativo del rischio che l’intero pianeta sta correndo per via delle minacce nemmeno tanto velate di Vladimir Putin di fare ricorso ad esse per risolvere la crisi ucraina. Follia? La lucida follia di chi avverte che l’azzardo può girare alla perdita secca, e allora cerca un qualche rimedio, qualsiasi rimedio, e tanto peggio per quel che succederà. Chi ha visitato quei luoghi sa che dentro quel confine c’è il possibile nostro destino, altro che mascherine, scafandri!
Paradossalmente, la notizia più inquietante sembra essere la resistenza dell’esercito ucraino e delle milizie civiche, oltre che una certa disorganizzazione che sembra (il condizionale è sempre d’obbligo, le false notizie sono pane quotidiano, anzi del minuto) attraversare il campo russo. Se i cieli sembrano essere dominati dall’aviazione e dalla contraerea russa, il terreno è altra cosa. Eppure Putin lo avrebbe dovuto sapere bene, visto che in Siria ha “vinto” la sua guerra a fianco di Assad non controllando i cieli, ma avanzando nel deserto con i suoi tank e occupando le città coi suoi soldati. Anche questa volta il terreno sembra dar torto a chi pretende di svolgere solo guerre chirurgiche, di spazzare il campo con la tecnologia di bombe che costano quanto una scuola, un quartiere, chiese e case e fabbriche, e che potrebbero salvare migliaia di vite umane. E invece. Gli “effetti collaterali” sono sempre più inquietanti. Questa volta ci vorrebbe una traduzione letterale alla poesia di Prévert, quelle connerie la guerre: «che stupidità la guerra».
Oggi, dunque, si spera nelle trattative di Homel. Perché lo spettro del nucleare non è più così lontano. Putin lo sa bene che se viene innescata la guerra degli ordigni nucleari è l’umanità che rischia di scomparire: si calcola che cento ordigni scagliati da una parte e cento dall’altra (quelli disponibili sono circa 600 per parte) per reazione cancellerebbero la vita umana sulla terra, o quasi. Che si sia tanto folli da premere il pulsante rosso? Anzi, a digitare i codici divisi in tre: il presidente, il ministro della Difesa e il capo di stato maggiore dell’esercito? Pregare, bisogna.
L’Europa risponde con sanzioni mai viste, anche i più riluttanti (Draghi in testa, e così il cancelliere tedesco) si sono dovuti allineare sulla linea dura del resto del mondo occidentale. E s’è aperta una corsa al rialzo sulle possibili forniture militari all’Ucraina: la von der Layen ha parlato di una première, acquistare e trasferire armamenti a un Paese non appartenente alla Unione europea, dicendo contestualmente che bisognerebbe aprire immediatamente il processo di adesione di Kiev alla Ue. Nessun s’illude che le armi in provenienza da Germania, Usa o Italia in questo momento possano avere una qualche influenza sul conflitto in corso. Ci vogliono mesi per i trasferimenti e soprattutto l’istruzione delle truppe, che in questo momento sono impegnate in ben altre attività. Swift e armi, la diplomazia sembra eclissata. E così la bandiera della pace, anche in Europa.
Il papa è rimasto a Roma (forse era anche questo il vero motivo della sua mancata visita a Firenze, dolorosa ferita per la Chiesa italiana che sarà difficile rimarginare) e cerca anch’egli di attivarsi in ogni modo, con gesti al solito inusuali, come la visita all’ambasciatore russo, telefona a Zelensky, spinge Parolin a proporre il Vaticano come mediatore. Nel segno della più totale e disarmata coscienza, in contrasto coi discorsi che si fanno a Mosca, ma ormai anche a Bruxelles e Washington.
È l’ora del silenzio in attesa di notizie da Homel.