Le torri di Malabar Hill
L’india, questo Paese dei paradossi e dei contrasti. Lo era ancora nelle epoche più remote e tale è rimasta anche oggi in molti suoi aspetti, al punto che certe scene e tradizioni ancestrali sopravvivono identiche nel nostro XXI secolo. È il caso delle cosiddette “torri del silenzio”, strutture tipiche della religione zoroastriana. Lo zoroastrismo si sviluppò in Persia, l’odierno Iran, per iniziativa di un sacerdote di nome Zarathustra (o Zoroastro), vissuto tra il XVIII e il XV sec. a. C. Nel VII secolo, per sottrarsi all’invasione araba e all’islamizzazione del loro Paese, i seguaci di questa religione monoteista ripararono in India dove gli attuali discendenti, denominati Parsi (ossia persiani), costituiscono la più piccola comunità religiosa indù: assommano infatti a circa 100 mila individui, la maggior parte dei quali residente a Mumbai (la vecchia Bombay) e dintorni, mentre a Delhi sono ridotti a poche centinaia.
Le usanze funebri dei Parsi vietano di sotterrare i loro morti, cremarli o affidarli ai fiumi come fanno gli indiani; e ciò per non contaminare i quattro elementi simboleggianti la divinità: acqua, terra, fuoco e aria. Espongono invece i cadaveri in cima alle “torri del silenzio” (dakhma), affinché vengano consumati dagli agenti atmosferici e dagli avvoltoi, uccelli considerati sacri, in modo da rientrare a far parte del ciclo vitale come suprema offerta alla natura: usanza che ricorre più o meno simile anche in altre antiche culture del pianeta.
Queste torri circolari bianche (il colore del lutto), fatte di legno e argilla e piuttosto tozze, possono raggiungere i trenta metri; dotate di una stretta porta d’accesso, recano sulla sommità una piattaforma inclinata verso il centro, divisa in tre circoli concentrici suddivisi a loro volta da raggi che formano altrettante cellette aperte, dove vengono deposti i cadaveri. Il cerchio esterno è riservato agli uomini, il mediano alle donne e quello più interno ai bambini. Un profondo pozzo centrale accoglie le ossa ormai scarnificate, sbiancate dal sole e dalla pioggia: disfacendosi ulteriormente e filtrando attraverso strati di carbone, calce e zolfo, tramite condotti sotterranei, ciò che ne resta si perde in mare.
Il rito si svolge nel modo seguente. Siccome chi muore diventa impuro perché invaso da demoni (così la credenza), per non contaminare i viventi la salma va purificata con il coinvolgimento di un cane, altro animale venerato. La cerimonia ha luogo in una cappella del parco funebre (doongawardi) alla presenza di parenti e amici biancovestiti. Dopo che sul viso del morto è stato posto un sudario, nessuno che non sia Parsi può vederlo. Quindi il cadavere viene accompagnato in corteo fino ai piedi della torre, dove possono accedere solo i becchini, anch’essi in abiti bianchi, e depositato sulla piattaforma sommitale.
Torri del silenzio le chiamano perché nelle varie fasi del rito presieduto da un sacerdote (dastur) vige il divieto di parlare, perfino di piangere e lamentarsi. Ma non si creda che il silenzio sia assoluto, tutt’altro! Provvedono gli avvoltoi e gli altri uccelli da preda ad assordare i partecipanti con i loro striduli schiamazzi mentre accorrono a disputarsi quei miseri avanzi.
Oggi è ormai ridotto il numero di torri esistenti e in funzione, causa il progressivo decrescere dei Parsi, comunità chiusa che non permette matrimoni misti: sembra che esse assommino ad una sessantina, la maggior parte nel Gujarat, a Pune, Calcutta e Bangalore. A rendere problematico questo rito piuttosto lungo e anche poco pratico per i nostri tempi è lo scarso numero di avvoltoi, decimati dalle epidemie e dall’inquinamento: ciò che costringe i seguaci di Zoroastro a stanziare ogni anno una cospicua somma per acquistare e addestrare questo tipo di volatili.
Anche per questi motivi si va diffondendo tra loro la cremazione elettrica: sorte subita nel 1991 dalla salma di Freddy Mercury, la celebre rockstar di ascendenza Parsi.
A Mumbai rimangono attive tre torri su sette, la più antica delle quali è precedente all’anno 1673. Un tempo fuori città e oggi inglobate nella metropoli indiana, fanno parte di Malabar Hill, una delle zone più eleganti non solo di questa città, ma del mondo intero. Con conseguenze a dir poco incresciose per quanti abitano ad appena trecento metri dal parco funebre: infatti, oltre al lezzo dei cadaveri, che non sempre arriva a disperdersi in mezzo alla lussureggiante vegetazione, non di rado capita a dei rapaci di lasciar cadere nei giardini e nelle residenze di lusso qualche povero resto umano!