Le statistiche non dicono tutto

Tra i tanti volumi di numeri pubblicati dall’Ue, uno sguardo al Prodotto interno lordo di ogni regione svela qualcosa, e solo qualcosa, di questi luoghi

Un’occhiata alle statistiche offre sempre più una percezione limitata della realtà. Pensare ad esempio che ogni italiano disponga di 27.700 euro all’anno per soddisfare non solo le sue necessità, ma anche tanti capricci… è un sogno per tanta gente. Diversa è la comprensione di tale cifra quando la si prende come un indicatore della ricchezza pro capite prodotta dall’insieme della popolazione. Il Pil, di ciò stiamo parlando, serve agli economisti nei loro studi e ai politici per disegnare le loro politiche sociali.

La nota cifra del Pil pro capite italiano attestato a 27.700 euro appare anche nel rapporto pubblicato il 28 febbraio da Eurostat e intitolato Il Pil pro capite nelle 276 regioni dell’Ue. Si tratta di uno studio sull’attività economica creatasi nel 2016, così da proporre un modo di misurare il grado di sviluppo di ogni regione. Ma sia chiaro, è scritto nel rapporto: «Il Pil non misura il reddito di cui dispone una famiglia».

Il concetto di “regione” e in effetti variabile per via della geografia, della storia e della configurazione politica di ogni Stato membro dell’Ue. Ecco perché nei Paesi Bassi troviamo 12 regioni, mentre in Irlanda, con quasi il doppio di territorio, ce ne sono solo due. Comunque, a fini statistici, nel 2013 fu stabilita una «nomenclatura di unità territoriali per statistiche», offrendo così un modello «uniforme e consistente» per l’elaborazione di statistiche regionali di diverso tipo.

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Ora, questo studio sul Pil regionale nel 2016, pur tenendo conto delle grosse differenze, ma cercando di esprimerlo in termini standard di capacità di acquisto, viene a confermare qualcosa che ormai sapevamo: ci sono regioni povere e regioni ricche. La più povera, la regione bulgara di Severozapaden (4.100 €) mentre la più ricca è l’Inner London-West (207.300 €). Sia per l’una che per l’altra si nota la grossissima variazione rispetto alla media europea (29.200 €). Si registrano poi grosse variazioni all’interno di ogni Paese, come accade in Gran Bretagna con l’Inner London-West e il West Wales (23.100€), o in Francia con l’Île de France (56.000 €) e il dipartimento oltremare dell’isola di Mayotte (10.600 €).

I numeri di queste statistiche rivelano poi le regioni dove si trovano le grosse ditte che fanno alzare il Pil col loro volume d’affari. In quest’ordine si trovano l’Inner London-West (611% sulla media europea), il Granducato di Lussemburgo (257%), Southern & Eastern di Irlanda (217%), Bruxelles e Amburgo (200%), fino a un totale di 19 regioni che superano il 50% della media europea. Nessuna in Italia. Ci sono poi 21 regioni sotto il 50% della media. Nessuna in Italia. In genere, la capitale di ogni Paese si trova in testa nel ranking nazionale, fanno eccezione Berlino, Londra (qui ci sono 5 regioni) e Roma, che si piazza un po’ sopra la media nazionale. Ma c’è da rilevare che nel calcolo del Pil nelle capitali, e le grandi città in genere, influisce in modo significativo il flusso dei non residenti.

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Forse un dato interessante di questo rapporto, oltre il grado di squilibrio tra i 28 Paesi, è il grado di squilibrio all’interno di ogni Paese. Undici di essi vedono la loro media nazionale superare quella europea (in quest’ordine: Lussemburgo, Irlanda, Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Germania, Svezia, Belgio, Finlandia, Gran Bretagna e Francia), mentre il resto non ci arriva. Riguardo poi allo squilibrio all’interno di ogni Paese, alcuni registrano grosse differenze regionali, come i casi già detti della Gran Bretagna e della Francia, ma anche Slovenia (131 punti percentuali tra la regione più ricca e la più povera), Belgio (125 p.p.), Romania (103 p.p.); altri invece sono più equilibrati: Italia (89 p.p.), Danimarca (72 p.p.), Austria (66 p.p.) Spagna (62 p.p.), Grecia (46 p.p.), ecc.

Infine, è il caso di ricordare che gli avvenimenti politici hanno un influsso determinante in questo tipo di misurazioni. Basti pensare all’effetto che avrà nell’economia britannica il movimento delle grandi imprese dopo la Brexit, o anche la redistribuzione della ricchezza nella Spagna dopo che imprese di ogni genere hanno trasferito la loro sede fiscale dalla Catalogna ad altre regioni.

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