Le stagioni del cinema in Europa
Uno di questi, a casa nostra, è Daniele Vicari. Reatino, 50 anni, sposato con la regista Costanza Quadriglio, una figlia, è un uomo che osserva, indaga e parla di ciò che ci circonda. Non usa mezzi termini, è diretto. Ha esordito nel 2002 con Velocità massima, poi nel 2005 ha diretto L’orizzonte degli eventi, un trhiller psicologico ambientato nel mondo della ricerca scientifica. Ci sono stati nel 2008 Il passato è una terra straniera, sulle bische clandestine a Bari, e nel 2012 Diaz sui fatti di Genova, vincitore del premio del pubblico a Berlino. In mezzo, documentari, come l’ultimo del 2006 Il mio paese.
Ora ritorna con Sole cuore amore. Tre parole normali, ovvie, a dire un film semplice e complesso come è la vita, certo più intimo e scavato del solito. La storia è quella della quotidianità: di lei, quattro figli,un marito disoccupato che lei adora, due ore di viaggio ogni giorno per lavorare, in nero, in un bar di Roma. Amica, anzi sorella, di una ragazza che fa la performer, e cerca inquieta il proprio destino. Un film sulla vita di ogni giorno, sul dolore per portare avanti una famiglia: storia di storie vere, quelle che ci accadono sotto gli occhi e nemmeno ce ne accorgiamo. Film che risente dell’occhio del regista su ciò che ci circonda e non è di moda raccontare: il vivere onesto, sacrificato eppure anche lieto perché è fatto per amore.
Un lavoro alla Ken Loach per spessore sociale, grido, semplicità narrativa, cui Vicari regala in più il suo sguardo di pietas non esibita ma sottesa che coglie l’umanità autentica della gente, al contrario di certi prodotti nostrani “neorealisti” in modo artificiale. Il fatto è che Vicari unisce storie personali e reali in un racconto che non è autobiografico, anche se di spunti ce ne sono, ma riesce tuttavia a dire la periferia suburbana, quella di cui si parla solo se succede un fatto di sangue e che invece nasconde vicende di dolore e di amore.
Al di là di alcune lungaggini o momenti non necessari, il film tocca in profondità perché tocca il sentimento umano, alla grande. Bisogna dire che Isabella Ragonese si è immedesimata a tal punto nel ruolo di Eli, la protagonista, insieme a Francesco Montanari (il marito) che meriterebbe un premio, ed in verità le scene di confidenza fra i due sono fra le più belle e anche commoventi del film.
Vicari è uno che sa raccontare, senza artifici, con uno stile che prende subito, con mezzi essenziali: delicato, anche, attento alle sfumature dei caratteri e al linguaggio del “tempo” (le scene notturne e dell’alba hanno una poesia tutta loro), e capace di lunghissimi silenzi a dire un dramma. Da non perdere.
Sta bene, il cinema spagnolo. Lo si vede ogni anno a Roma alla rassegna di maggio, che poi dalla capitale gira per l’Italia. L’edizione 2017 − dal 4 al 9 maggio − è variegata come temi, come sempre succede per il cinema iberico. Che si esprime, come la sua terra, in teneri e passionali ritratti femminili, commedie scatenate e grottesche (lo spiritello di Goya è onnipresente ma anche quello di Almodòvar), in trhiller cupi e violenti (la “fatalità” islamica dell’Andalusia). Da non perdere La notte che mia madre ammazzò mio padre, noir umoristico, e il film di chiusura La proxima piel, storia della scomparsa di un adolescente. Ma non c’è solo la Spagna, perché anche il cinema sudamericano fa la sua parte nella rassegna. Insomma, la vasta anima spagnoleggiante abbraccia i continenti.
Dal Sud al Nord dell’Europa. Infatti, a Roma fino al 7 maggio è la volta del Nordic Festival con i film dalla Scandinavia (Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia,Islanda). Tema, il viaggio in quindici lavori alla Casa del Cinema. I generi? Trhiller, commedia, catastrofe tra cortometraggi e documentari. Ci saranno sorprese, perché questa filmografia è fuoco sotto il ghiaccio.
Ha buona salute, a quanto pare, la cinematografia europea.