Le spose di Marianne

L’impegno quotidiano per combattere la piaga della violenza di genere nel nostro Paese

Tutto ebbe inizio nel 2011 quando 4 amiche, rendendosi conto delle difficoltà che spesso molte donne vittime di violenza si trovano a vivere non potendo accedere, per motivi diversi, ai servizi di assistenza psicologica privata o pubblica, decidono di creare uno sportello di ascolto. Nasce così il “Centro di supporto psicologico popolare di Tor Bella Monaca” nella periferia romana. In una piccola stanza, avuta in comodato d’uso da un’associazione locale, lavorano per due anni in condizioni di totale autofinanziamento e autogestione. Oltre al supporto psicologico, nascono gruppi di auto-aiuto e una scuola che usa il teatro come mezzo terapeutico. Viene prodotta la pièce teatrale Sulla pelle delle donne, dove recitano le donne ma anche gli uomini seguiti dal Centro. Se non che, a un certo punto, arriva lo sfratto.

Allora, le 4 amiche non si arrendono e, per trovare un nuovo spazio, lanciano una petizione su Change.org, per sensibilizzare il Comune di Roma e il ministero degli Interni. La petizione è un successo: vengono raccolte circa 54 mila firme e la nuova sede arriva: il 20 febbraio del 2015 viene inaugurata con la dedica speciale a Marie Anne Erize, una giovane argentina di origini francesi, artista, attrice di teatro, sequestrata e uccisa durante la cosiddetta “Guerra sporca”, vittima della violenza di carnefici che si presume vivano ancora oggi nel nostro Paese. Nella nuova sede, pian piano, vede la luce una biblioteca di 8 mila volumi, perché le 4 amiche credono che la cultura sia uno dei mezzi più efficaci per combattere la piaga della violenza di genere. Poi, in maniera originale, nasce la sartoria solidale “Le spose di Marianne”.

Racconta Stefania Catallo, la presidente del Centro antiviolenza: «Da tempo, molte delle donne che transitavano intorno al centro ci chiedevano di aiutarle ad acquisire quell’indipendenza economica che permettesse loro di uscire dalle situazioni di rischio, ma noi non avevamo abbastanza fondi per finanziare un’attività economica». La svolta avvenne per la visita dell’allora consigliere agli Affari sociali dell’ambasciata di Francia, madame Valerie Gervais. «Si innamora subito di questo posto – continua Stefania Catallo – e, dopo qualche tempo, mi chiama e mi dice che una fondazione francese ha pubblicato un bando di concorso per progetti di inclusione sociale che le sembrava adatto alla nostra realtà. La Fondazione Up, così si chiama, premia il nostro progetto di sartoria solidale con 5 mila euro. E, così, partiamo!». Nella sartoria lavorano ex detenute, donne in difficoltà e immigrate che hanno cominciato un percorso verso l’indipendenza economica, per togliersi da situazioni a rischio di violenza.

Grazie al lavoro, stanno ottenendo anche benefici psicologici importanti, come, per esempio, il recupero della propria autostima. Oltre ai lavori classici di sartoria, come orli, rimesse a modello e rammendi, si raccolgono anche abiti da sposa usati che vengono poi concessi in prestito solidale. «Questo è successo – spiega Stefania Catallo – perché, appena aperta la sartoria, alla porta c’era una fila di persone che da una parte ci chiedevano abiti da sposa usati e, dall’altra, che volevano donarceli. Noi abbiamo semplicemente pensato di potenziare il flusso raccontando il nostro progetto sui social media, e ora ne abbiamo una trentina. Non sono solo abiti contemporanei ma anche storici. Il più antico è del 1947. Le nostre sarte li hanno smacchiati, messi a nuovo, e ora sono a disposizione di tutti. Anche di chi, pur non avendo particolari problemi economici, sceglie un nostro abito per sposarsi donando il corrispettivo al Centro». Il lavoro continua sperando che la sensibilizzazione culturale contro la violenza di genere diventi etica condivisa.

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