Le spese militari al tempo della crisi

Diffusi i primi dati del prestigioso Istituto di ricerca di Stoccolma: oltre 1.700 miliardi di dollari è la cifra investita nel 2011 nel mondo per la produzione bellica. E in Italia? Un sottomarino nucleare attraversa lo Stretto di Messina nel silenzio dei media
Sottomarino nucleare
Iniziano a circolare i primi dati della relazione annuale del Sipri (Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma) a proposito della spesa militare sostenuta nel 2011 dai diversi governi. L’anno della crisi economica conclamata ha visto una razionalizzazione della tipologia degli investimenti sugli armamenti per i Paesi dell’alleanza occidentale, mentre continuano a crescere i numeri relativi alle nazioni emergenti. Cina e Russia, su tutte, si piazzano al secondo e terzo posto nella classifica dei governi che più investono in questo settore, che resta comunque dominio degli Stati Uniti d’America. Livelli in crescita si registrano anche tra i Paesi del Nordafrica e in Nigeria.

Il Sipri calcola il valore degli investimenti in dollari: dei mille e 738 miliardi (“trilion”) complessivi usati per le armi, 711 sono quelli strettamente impegnati dalla potenza Usa. Alle tre postazioni del podio (Usa, Cina e Russia) seguono Gran Bretagna, Francia, Giappone, Arabia Saudita, India, Germania e Brasile. Con 34,5 miliardi di dollari, corrispondenti a circa 26 miliardi di euro, l’Italia si colloca al nono posto, su scala planetaria militare.

Finmeccanica sempre più sul militare

Il 2011 è stato anche l’anno in cui Finmeccanica, l’azienda italiana leader per la tecnologia aerospaziale, ha registrato perdite di bilancio considerevoli, nonostante il comparto degli armamenti sia sempre stato considerato una certezza per le tante alleanze strategiche internazionali. Il grande gruppo industriale è stato investito, in queste settimane, da una serie di scandali che hanno toccato anche i vertici, e la testimonianza di Valter Lavitola svelerà intrecci in tal senso.

Le vere ragioni della crisi si trovano nelle scelte compiute dal Pentagono sotto le direttive di Obama, che ha deciso di ridurre gli acquisti dalle aziende italiane del settore, forniture che si credevano sicure. A ogni modo il programma strategico dei caccia bombardieri JSF35, proprio sotto Pasqua, ha ricevuto un'ulteriore conferma da parte del governo italiano, pur con la riduzione da 131 a 99 dei velivoli da acquistare dalla statunitense Lockeed Martin. La contropartita prevede il coinvolgimento di Finmeccanica nel progetto di produzione di alcune parti dell’aereo da combattimento.

La stessa Finmeccanica sta completando quel processo di conversione avviato all’inizio degli anni 2000, dismettendo la produzione civile per concentrasi su quella militare, che registra buoni clienti tra i Paesi emergenti.
La prospettata vendita di un ramo dell’azienda, la Menarini Breda (specializzata in autobus), secondo molti analisti, pare rientrare in questo progetto.

Sottomarini nucleari nello Stretto

I programmi di spesa relativi agli armamenti sono sempre mutevoli e non sempre si riesce a calcolare il reale impegno finanziario di un governo in questo settore. La manutenzione necessaria per i diversi velivoli è una delle voci non sempre esplicitate. Proprio con riferimento ai caccia bombardieri F35, il 3 aprile 2012 la Corte dei conti canadese ha criticato la leggerezza dell’amministrazione del Canada nel programmare questo tipo di spesa, balzata da 9 a 25 miliardi di dollari. Risultato: sospensione degli acquisti in attesa di accertamenti precisi sui costi reali.

«Il peggio, in Italia, è ormai passato», secondo il direttore della "Rivista italiana di difesa", perché le critiche e le mobilitazioni provenienti dalla società civile hanno accelerato una riduzione nel numero programmato degli F35. Questi aerei restano comunque strumenti privilegiati di un nuovo modello di difesa, che richiede azioni rapide di attacco, fuori dai confini nazionali.

L’Italia, nonostante lo spostamento dell’asse strategico di combattimento verso il Pacifico, è tuttora una base fondamentale nello scenario di futuri o possibili conflitti. Se ne sono accorti il 5 aprile scorso gli abitanti di Messina, che hanno visto emergere dalle acque dello Stretto un sottomarino nucleare statunitense, appartenente alla “classe Virginia”, o meglio noto come "hunter killer". Lo riporta il giornale locale "La Gazzetta del Sud" e Antonio Mazzeo di "Terre Libere", nel silenzio totale degli altri media.

Passare da rapporti e cifre di investimento a una conoscenza diretta di un armamento, tra i più letali e sofisticati prodotti dall’industria bellica, non è esperienza da poco, in uno dei corridoi marittimi considerati da sempre tra i più pericolosi per la navigazione, ma altresì strategici nei conflitti, soprattutto con un Nordafrica ancora in gran fermento.

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