Le sfide di una magistratura libera
Come già detto nella prima parte, diffido di tutte le proposte che indicano nel “sorteggio dei migliori”, nel sorteggio tout court o in altri rimedi e diversi sistemi elettorali, la strada da perseguire per recuperare il C.S.M. alla sua antica ed unica funzione di Organo di autogoverno della Magistratura e non più luogo di spartizione di un “degenerato” potere.
Il punto cruciale dell’intera vicenda, dunque, lo snodo principale del dibattito sull’indipendenza ed autonomia della Magistratura, non può che passare attraverso la “porta stretta” del destino e delle funzioni delle correnti interne, affrontando, in particolare, la “patologica deriva correntizia” che si è via via sviluppata negli ultimi anni e che, innegabilmente, ha condizionato e tuttora condiziona la vita professionale di ciascun Giudice e della Magistratura intera.
Qui si apre, a mio avviso, una partita tutta interna alla Magistratura, che da sola deve essere in grado, una volta per tutte, di “purificare l’ambiente” dimostrando, anzitutto a se stessa, di essere degna e meritevole della libertà e dell’indipendenza voluta per essa dai padri costituenti. A mia memoria, non ricordo che vi sia stata una legge o altro provvedimento regolamentare che abbia previsto l’istituzione di correnti in seno alla Magistratura. La loro nascita, tuttavia, non può dirsi, per ciò solo, dannosa o addirittura eversiva, come pure ho più volte sentito dire da voci interne ed esterne all’Ordine Giudiziario.
Trovo senz’altro positivo ed auspicabile che tra i magistrati possano (e debbano) esistere diverse sensibilità culturali o diverse correnti di pensiero, che certamente costituisco per tutti un arricchimento, anche sotto il profilo strettamente professionale, atteso che il Giudice, per quanto soggetto alla sola legge e alla propria coscienza, vive pur sempre immerso in contesto sociale, politico ed economico in continua evoluzione, che pone nuove e diverse sfide, non solo giuridiche. In questo senso, le correnti hanno fornito un utilissimo contributo – e ancora potranno fornire – alla formazione stessa della coscienza del singolo Giudice e della Magistratura tutta.
Quando tuttavia, una “corrente di pensiero” si trasforma, progressivamente, silentemente ma in maniera inarrestabile, in un’associazione di persone che, pur svolgendo la medesima funzione, tende a condizionare, per tornaconti di gruppo o addirittura personali, lo sviluppo stesso della carriera di un magistrato, la sua formazione, il ruolo che di volta in volta può essere chiamato a ricoprire all’interno e all’esterno dell’Ordine Giudiziario, ecco allora disvelato l’aspetto del tutto patologico delle correnti stesse, nate con l’intenzione di contribuire allo sviluppo culturale della Magistratura e progressivamente trasformatesi in veri e propri “apparati di potere”, destinati a soddisfare questa o quell’ambizione del singolo membro.
Si rende, allora, necessario che le correnti stesse sappiano indicare, anzitutto, quali siano le proprie specifiche idealità che le caratterizzano e al tempo stesso le differenziano rispetto alle altre, quale sia il programma attraverso cui intendono realizzarle, raccogliendo dalla base proposte e contribuiti utili a tali fini. È per questo che ritengo che soltanto attraverso un lungo e sincero percorso di confronto interno alla Magistratura, che abbia il coraggio di affrontare, anche con durezza ma con spirito costruttivo, la smisurata invadenza del potere correntizio, che potremo finalmente addivenire ad un sistema di selezione interna degli uffici direttivi, semidirettivi e dei componenti dell’Organo di Autogoverno, rispettoso del principio di indipendenza ed autonomia che con forza rivendichiamo, non potendosi pretendere che esso venga rispettato dagli altri Poteri, quando è quotidianamente deriso e calpestato dagli stessi appartenenti alla Magistratura.
Recupero di una spinta ideale e forte richiamo ad una rinnovata coscienza, mi appaiono, pertanto, requisiti imprescindibili per il rilancio della Magistratura.
Un ultimo cenno merita il rapporto tra potere politico e potere giudiziario, da sempre al centro della polemica politica e del dibattito culturale all’interno e all’esterno della Magistratura.
Nelle tristi vicende di questi giorni, ciò che mi ha maggiormente indignato non è stata tanto la presunta (e tutta da dimostrare) corruzione imputata ad alcuni dei soggetti, magistrati e deputati, coinvolti nell’inchiesta (al suon dell’oro le montagne tremano e i magistrati perdono la coscienza, soleva ripetere un mio zio); e neppure la “normale frequentazione” di esponenti politici da parte di vecchi e nuovi componenti del CSM – circostanza assolutamente non smentita da alcuno degli indagati e/o protagonisti degli odierni fatti di cronaca – quanto piuttosto gli argomenti di discussione all’ordine del giorno delle riferite frequentazioni, riguardanti le imminenti nomine dei vertici di alcune procure e/o l’assegnazione di incarichi direttivi.
Il fatto incontestabile, e non contestato, che due deputati non membri dell’Organo di Autogoverno della Magistratura ed alcuni componenti togati dello stesso abbiano amabilmente discusso della “distribuzione correntizia” di alcuni incarichi direttivi, lontano dai luoghi istituzionalmente a ciò preposti, non può che gettare una preoccupante luce sinistra sui rapporti intercorrenti tra i predetti soggetti.
Il discredito che, nel contempo, ne deriva in danno del C.S.M. è tanto grande quanto difficile da rimediare, al punto che assistiamo all’inedita “autosospensione” (?) di ben quattro membri togati, che ulteriore discredito arreca alla figura e alla funzione stessa di tale primaria Istituzione repubblicana.
Siamo ormai abituati a considerare “normale” l’assunzione di decisioni politiche fondamentali per la vita del Paese lontano dalle sue sedi istituzionali, ove le stesse, invece, andrebbero meditate, discusse ed approvate. Questo distorto sistema decisionale, ha così finito per contagiare ed influenzare anche le scelte attinenti la vita interna della Magistratura, quali l’individuazione dei vertici dei suoi uffici direttivi ovvero i componenti stessi del C.S.M., finendo per trasferire in luoghi e spazi estranei alle Istituzioni siffatte fondamentali decisioni. Simili condotte non possono che rendere inevitabile il senso di sfiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, finendo con l’aggravare quel solco tra società civile e mondo politico e istituzionale, e che, per quanto riguarda la Magistratura, soltanto un immediato e deciso scatto di dignità e di orgoglio potrà contribuire a colmare.
In conclusione, è venuto il tempo di agire, e questo tempo è sempre più limitato e stringente, avendo di fronte nuove ed impensabili sfide ormai non più differibili. Solo la profonda convinzione “nell’alta coscienza del proprio ufficio e nel senso altissimo delle proprie funzioni” potrà restituire a ciascun Giudice la piena libertà delle sue decisioni, solo ed esclusivamente rese nel nome e nell’interesse del popolo italiano. Le modalità e gli strumenti di scelta e selezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, non potrà che essere il frutto di tale processo di rigenerazione.
Qui la prima parte del contrinuto del Dottor Francesco Abete Presidente di sezione civile del Tribunale di Torre Annunziata (Napoli)