Le sfide della Protezione civile
Lei ha dichiarato che «la vera questione in Italia è la messa in sicurezza del territorio anche fuori dal patto di stabilità dell’Ue». Ma non occorrerebbero risorse illimitate e quali sono le misure minime e più urgenti?
«Se, come spesso siamo tentati di fare, ci nascondiamo sempre dietro alle grandi cifre inavvicinabili (secondo le stime del Ministero dell’ambiente servirebbero 40 miliardi per mettere in sicurezza il territorio sul versante del rischio idrogeologico, 93 per l’aspetto sismico, secondo le analisi dell’Ordine nazionale degli Ingegneri) il problema della messa in sicurezza non lo affronteremo mai sul serio. È chiaro che il fabbisogno di risorse è di decine di miliardi di euro, ma serve una pianificazione di interventi programmata nel corso degli anni. Sono le amministrazioni competenti in ordinario su questi temi – dai ministeri alle Regioni ai Comuni – a dover stabilire, in base ai fondi di volta in volta disponibili, le priorità. La legge 100 del luglio 2012, infatti, ha inequivocabilmente stabilito che al Servizio nazionale della protezione civile competono solo le attività di prevenzione di protezione civile (allertamento, pianificazione dell’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza della protezione civile, informazione alla popolazione, esercitazioni), non certo quelle di messa in sicurezza strutturale».
Dal 2010 le risorse per la Protezione civile sono diminuite del 56 per cento. Sono peggiorate la qualità e l’efficienza degli interventi?
«Dal 2010 non solo sono diminuite le risorse disponibili, ma è stata profondamente rivista la legge di riferimento in materia di Protezione civile. Si è intervenuti ponendo dei limiti temporali alla gestione emergenziale così come alle attività da compiere: per esempio, come accennato prima, la Protezione civile non è più competente per interventi strutturali, azione rimandata, come è corretto che sia, alle amministrazioni competenti in ordinario.
Nonostante questi cambiamenti non semplici da affrontare e far recepire all’intero sistema, la qualità e l’efficienza degli interventi non hanno subito alcuno scossone, grazie alla professionalità e alla preparazione di tutte le componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile».
Come ha valutato la sentenza di condanna in primo grado per omicidio colposo ai sei membri della Commissione Grandi rischi per aver dato alla popolazione aquilana avvertimenti insufficienti del rischio sismico?
«Come ho avuto modo di affermare in numerose circostanze pubbliche, credo che la sentenza del 22 ottobre 2012 del Tribunale di L’Aquila non sia un problema in sé; piuttosto, la sentenza – ma ancor prima del pronunciamento del giudice, il processo stesso – ha posto e pone dei problemi. Io ne individuo almeno tre: il primo in riferimento al rapporto tra Commissione Grandi Rischi e Sistema della Protezione civile, il secondo che riguarda la comunicazione del rischio, il terzo sulla responsabilità dei valutatori e dei decisori. Se sui primi due argomenti ritengo che in questi ultimi anni siano state apportate le necessarie correzioni anche se sempre migliorabili, sulla questione della responsabilità rimane, al momento, ancora parecchia incertezza.
Nella ridefinizione della Commissione Grandi Rischi, così come è stata tracciata dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2011, abbiamo cercato di fare tesoro delle criticità che la vicenda aquilana ha, purtroppo, evidenziato: la Commissione – su richiesta del Capo del Dipartimento o su indicazione del Presidente della Commissione stessa – si riunisce solo a Roma, presso la sede del Dipartimento; riceve quesiti scritti dal Capo del Dipartimento, discute al suo interno in seduta chiusa e, attraverso un comunicato, fornisce le valutazioni di carattere scientifico emerse nel corso della riunione; infine, i componenti della Commissione non veicolano direttamente all’esterno l’esito delle riunioni, poiché non è una loro competenza. Infatti, ciò che la comunità scientifica fornisce al Dipartimento è, da quest’ultimo, inoltrato alle strutture operative e alle componenti del Sistema nazionale della Protezione civile.
Sul tema della responsabilità dei valutatori e dei decisori, invece, i passi da compiere sono ancora molti. Leggendo le motivazioni della sentenza, credo che il problema sia ben evidente: sette persone, con diversi ruoli, comportamenti, profili e responsabilità, sono state condannate allo stesso modo. E in ciò riscontro un serio problema: quando si ha a che fare con valutazioni di eventi connotati da grande incertezza e complessità, non si può fare riferimento a soglie di responsabilità uguali a quelle stabilite per altre differenti attività. Se non si riuscirà a trovare una soluzione, rischieremo di incrinare ancora di più il rapporto con il mondo degli esperti e degli scienziati che sono chiamati a fornire un fondamentale contributo di conoscenza al Sistema della Protezione Civile. È necessario garantire a coloro che svolgono un lavoro estremamente complicato – si pensi solo ai valutatori che ogni giorno presso i Centri Funzionali emettono bollettini e avvisi meteo-idrologici e idraulici – di farlo con il massimo della serenità possibile».
Come si può diffondere una cultura della protezione civile? Quali sono le campagne di formazione?
«Innanzitutto armandosi di pazienza. Lavorando con costanza, dandosi degli obiettivi raggiungibili per gradi, credo si potranno apprezzare i primi frutti tra alcuni anni. Bisogna coinvolgere il più possibile tutte le componenti e le strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, ma soprattutto i cittadini. Fondamentale è realizzare degli strumenti ad hoc per i diversi utenti: ai bambini delle scuole elementari non si può parlare come si fa con gli adulti in piazza. Tra le campagna di informazione ricordo Terremoto – Io non rischio (www.iononrischio.it): giunta quest’anno alla terza edizione, ha come attori principali i volontari di protezione civile, formati adeguatamente per scendere nelle piazze della propria città e sensibilizzare i cittadini sul rischio sismico. Credo, infatti, profondamente alla capacità del volontariato organizzato di protezione civile di essere un positivo strumento di diffusione di una matura cultura del rischio».