Le scelte urgenti davanti alla deriva del Sud

L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) conferma la china discendente del Meridione italiano avviato ad un declino inarrestabile, anche demografico, se non si cambia registro. Stavolta il dibattito sembra partire davvero. Acli e Libera concordi nel denunciare che, senza revisione delle politiche di austerità, la diseguaglianza è destinata crescere
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L’interesse per l’ultimo rapporto Svimez, reso noto il 30 luglio 2015, sembra  durare oltre il prevedibile allarme di inizio estate. Il Centro studi riporta dati sempre più drammatici quando afferma che «l’intreccio perverso tra crisi economica e dinamiche demografiche comporta che  nel 2014 il numero dei nati nel Mezzogiorno ha toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia» assieme all’emigrazione consistente, non solo dei giovani,per fuggire alla mancanza di futuro con il pericolo di entrare nella condizione di povertà per una persona su tre: « In base alle previsioni Istat, il Sud, alla fine del prossimo cinquantennio, perderà 4,2 milioni di abitanti, oltre un quinto della sua popolazione attuale». Sono cifre che disegnano un Paese alle prese con un fenomeno paragonabile ad un periodo segnato dalle ribellioni popolari post unitarie e al fenomeno delle emigrazioni di massa che cominciò in quel periodo per arrestarsi solo negli anni ’50. Lo scrittore Roberto Saviano ha rivolto una accorata lettera denuncia al premier Renzi affermando che «troppe volte ho sentito dire che è ormai inutile intervenire. Che il paziente è già morto. Ci sono tantissime persone che resistono attivamente a questo stato di cose e Lei ha il dovere di ringraziarle una a una. Sono davvero tante. E tutte insieme costituiscono una speranza per l'economia meridionale». Sta di fatto che secondo lo Svimez, «nell’intero periodo 2008 -2014, il processo di disinvestimento che ha caratterizzato l’intero Paese è risultato al Sud di entità  eccezionale (-59,3 per cento) e decisamente maggiore che nelle regioni centro-settentrionali (-17,1 per cento)».

Visto il clamore dei commenti ai dati sul Mezzogiorno, Renzi ha convocato una direzione straordinaria del partito di maggioranza per il 7 agosto.

Secondo il presidente delle Acli, Gianni Bottalico, non possono bastare le buone intenzioni «perché resta da vedere quanto sia possibile, con i vincoli-capestro imposti dalle politiche di austerità, affrontare la priorità costituita dal Mezzogiorno, insieme a quelle del lavoro, della lotta alla povertà, dello sviluppo». Per Bottalico, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, non esiste altra scelta per il Paese di «dimostrare compattezza e fermezza nel chiedere la revisione dei trattati e dei vincoli europei».

AI crollo degli investimenti industriali  bisogna aggiungere, secondo Giuseppe De Marzo di Libera,« il taglio del 58 per cento del Fondo Sociale dal 2008 al 2014, indicato dallo European social policy network come il principale motivo dell'aumento di povertà e diseguaglianze nel nostro Paese».

Come portavoce della campagna “Miseria ladra”, De Marzo denuncia che «i continui tagli al welfare, l'assenza di investimenti pubblici per  sostenere la domanda aggregata, rilanciare il lavoro e rispondere al tempo stesso alla crisi ecologica attraverso lo sviluppo di una base produttiva sostenibile, sono le cause che producono esclusione sociale ed aumento delle diseguaglianze. Scelte politiche che finiscono per indebolire la democrazia e rafforzare mafie e corruzione, come verifichiamo ormai giornalmente nei nostri territori».

Si tratta, insomma, secondo gli esponenti delle realtà più esposte nella proposta della lotta contro la povertà in Italia, della necessità di cambiare radicalmente prospettiva dopo «il fallimento di politiche economiche e sociali tarate su un modello di sviluppo fallimentare ed incompatibile con la giustizia sociale ed ambientale».

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