Le scelte di REY

“No, a pescare tu non ci vai. La tua strada è un’altra”. Quando gli diceva così, la mamma non poteva immaginare che un giorno il suo Rey, da quel tranquillo e quasi idilliaco villaggio nelle Filippine, si sarebbe catapultato nella lontana e tumultuosa Mumbai, la Bombay di una volta. No, a lei stava a cuore solo che il suo primogenito, che dimostrava una spiccata tendenza per gli studi, non sprecasse il suo tempo nel pescoso mare che bagnava la loro isola, e neppure coltivando riso nel terreno da lei ereditato. Gli studi: un trampolino per un avvenire migliore, visto che dalla figura paterna non potevano venirgli stimoli in tal senso. “In effetti – ricorda Rey, 38 anni -, papà non aveva concluso molto nella vita, sia a scuola che al lavoro; amava le feste, il gioco, facendo disperare la mamma, alla quale toccava provvedere al sostentamento e all’educazione di noi otto figli. Eppure era un padre affettuoso: sempre, rincasando, ci portava qualche regalino. Una volta, ricordo, arrivò con un cesto colmo di manghi. Peccato che dopo un po’ la mamma, infuriata, fece volare dalla finestra quei magnifici frutti!”. “Per tornare agli studi – puntualizza Rey -, mi appassionavano al punto che, anche quando minacciava un tifone (e l’isola in cui son nato si trova proprio sul loro percorso), non esitavo a recarmi a scuola pur di non perdere una lezione. Studiare per poter salire la scala sociale ed essere d’aiuto anche agli altri famigliari riassumeva, allora, ogni mia aspirazione”. A dodici anni, per poter frequentare le scuole superiori, Rey si trasferisce a Masbate, capoluogo della sua isola omonima. “Ero tra i primi della classe. Ma ben presto, distolto dalle attrattive che offriva la città, fra discoteche, bar, spettacoli, uscite con gli amici, gli studi ne hanno sofferto. Finché ho detto basta e mi sono rimesso a studiare seriamente, recuperando con facilità il terreno perduto “. Adolescente senza una solida formazione cristiana (nel suo villaggio l’evento religioso dell’anno era la festa patronale), Rey non sa rispondere ai tanti perché che cominciano ad assillarlo. Reali opportunità di approfondire la religione, non ne ha neppure adesso. Poi, durante l’ultimo anno delle superiori, il primo grande dolore della sua vita: la perdita improvvisa della mamma, di colei che sempre ha rappresentato per lui l’amore, la sicurezza. “Chi avrebbe mantenuto ora l’unità della famiglia? Speravo che sotto questo colpo papà si dedicasse un po’ più a noi, ma purtroppo ho dovuto ricredermi. E quando mi ha fatto capire che intraprendere gli studi universitari sarebbe stato troppo dispendioso, m’è crollato addosso il mondo. “D’altra parte, a sentir lui, non era neppure pensabile mantenermi agli studi lavorando: avevo solo 14 anni. Che fare allora? Mi sentivo con le mani legate. Eppure non volevo darmi per vinto…”. L’anno scolastico, nell’arcipelago filippino, si conclude ad aprile; e proprio in un lontano aprile del ’79 Rey viene invitato da una sua insegnante ad un incontro dei Focolari a Manila, per il maggio seguente. “Papà mi ha lasciato andare: avevo accettato più che altro per allontanarmi da casa e trovare il modo di realizzare il mio sogno. Di quell’esperienza – spiega Rey – conservo un ricordo gradevole per la serenità e il clima di famiglia fra i partecipanti. Niente di più, in quanto ero troppo in ansia per il mio futuro”. E comunque è l’occasione, per lui, di legare con alcuni giovani che in seguito ritroverà nella capitale, dove intanto si trasferisce, ospite di certi suoi cugini. L’impatto con la vita frenetica della metropoli è un brusco scossone per questo quindicenne venuto da un villaggio remoto. E non è facile per uno come lui, che è sempre stato preservato dai lavori manuali, trovare un’occupazione, sia pure come apprendista. “Nel frattempo, andava crescendo in me il giudizio nei confronti di mio padre: se lui non fosse stato il tipo che era, non avrei dovuto affrontare tante difficoltà”. Unica nota positiva, in tutto questo travaglio, l’amicizia dei giovani del focolare, con i quali ha ripreso contatto. “Più li conoscevo, più rimanevo attirato dalla loro vita: erano persone normali, con le problematiche della loro età, eppure – a differenza di tanti loro coetanei, me compreso – apparivano contenti, realizzati”. Non gli è difficile scoprire cosa c’è dietro il loro modo di fare: l’intenzione di mettere al primo posto Dio, l’impegno per un mondo più unito. “Ed io? Fin allora lo studio era stato il mio tutto. Bastava cambiare prospettiva, attuare una scelta decisiva. Ed è quello che mi sono sforzato di fare. “Era evidente – prosegue – che se, volevo impostare la mia vita sull’amore di Dio, dovevo cambiare atteggiamento verso tutti, a cominciare da mio padre. Non sarebbe stato facile, per la scarsa confidenza fra noi e perché nella nostra cultura il padre rappresenta l’autorità assoluta “.

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