Le risposte del perdono

SI PRENDEVANO GIOCO DI NOI La mia famiglia ha passato tanti momenti dolorosi, l’ultimo dei quali, a causa di un grave incidente accaduto alla nostra primogenita Rosangela. Un ragazzino, in mia assenza, si era messo a giocare con la nostra figlia più piccola con una canna. Rosangela, per impedire che la sorellina si facesse male, gliela ha tolta di mano e lui, per vendicarsi, ha raccolto un altro bastone appuntito e l’ha ferita in un occhio. Si è tentato di tutto, un’operazione immediata e successive cure, ma l’occhio era ormai compromesso. Rosangela è una gen 3, ed ha offerto a Gesù questo dolore, anzi mi consolava dicendo: “Mamma, sono fortunata, perché posso vedere ancora con l’altro occhio!”, ed ha sempre perdonato, anche quando qualcuno la incitava a vendicarsi. Quel ragazzino invece non ha mai chiesto perdono, anzi si prendeva gioco di Rosangela, chiamandola “monocolo”. Nemmeno i suoi genitori sono venuti a condividere il nostro nostro dolore o a scusarsi per l’accaduto, nonostante che siano nostri vicini. Passavano, ma senza salutare. Anch’io avevo perdonato loro, ma certo non sentivo la stessa amicizia di prima. È passato un anno. Una mattina, la mamma di quel bambino mi manda a chiamare, dicendo che si sente male e chiede il mio aiuto. La prima reazione è stata: “Guarda, con tanti vicini di casa, ora si rivolge proprio a me, dopo quello che ci ha fatto!” . Ma, subito dopo, un’altra voce: “Bisogna amare tutti!”. Così sono corsa da lei che, appena mi ha aperto la porta, mi è svenuta tra le braccia. Che fare? Eravamo distanti dall’ospedale, senza un mezzo di trasporto. Insieme ai nostri vicini abbiamo fatto una colletta per pagare l’ammissione all’ospedale e, finalmente, siamo riusciti a farla ricoverare. Quel giorno, tutti i miei programmi erano stati sconvolti, mi ero dedicata interamente a quella donna. Dopo una settimana, appena uscita dall’ospedale, è venuta a casa mia per dirmi grazie. L’ho accolta con tutto il cuore: l’avevo veramente perdonata. Thérèse- Nairobi L’ALTRA FACCIA DELLA CONCORRENZA Lavoro come rappresentante nei supermercati, e soprattutto in questi ultimi tempi, la logica del marketing porta ad una competizione sleale, per cui trovavo nascosti dietro il banco i miei prodotti. Mi trovavo perciò in difficoltà con il collega con cui spartivo il medesimo scaffale, e non volendo giungere ad una rottura definitiva, mi proposi di affrontare con lui apertamente questo suo modo spregiudicato di fare concorrenza, che ovviamente non condividevo. L’indomani, tornando al lavoro, mi accorsi che il settore del mio concorrente era quasi vuoto. Mi parve una buona occasione per iniziare ad affrontare l’argomento, e decisi di esporre i prodotti che gli mancavano. Il giorno seguente, al mio turno di lavoro, trovai a mia volta il mio scaffale rifornito. Domandai ai commessi cosa fosse successo, e mi risposero che era stato l’altro espositore a sistemare il mio scaffale: avendo trovato il suo ben guarnito, aveva pensato di comportarsi con me allo stesso modo. Da allora è iniziata un’amicizia che ancora continua. Marcelo – Buenos Aires NON ERA UNA QUESTIONE DI SOLDI Sono infermiera professionale e lavoro in ospedale nel reparto di medicina interna. Arrivano qui persone ormai sul finire della vita, con tutto il loro bagaglio di esperienza, di abitudini e di esigenze. Mi sono trovata un giorno con una paziente piuttosto autoritaria, di oltre ottant’anni, che sebbene fosse grave esigeva il caffè sin dal primo mattino e fumava. I soldi che possedeva le davano la sicurezza di poter ottenere tutto, e non andava d’accordo nemmeno con la figlia, che ri- fiutava di incontrare. In effetti, il suo modo sprezzante di trattare gli altri faceva piazza pulita intorno a lei. Le altre mie colleghe, quando era il loro turno, si fermavano il meno possibile al suo letto per prestarle l’assistenza dovuta, niente di più. Ma, al di là della scorza dura entro cui cercava di barricarsi, si intuiva dentro di lei una profonda sofferenza. Ho pensato allora che dovevo servirla in modo che non si sentisse a disagio, e non solo perché nella mia professione questo servizio è un dovere, ma in primo luogo perché era un prossimo da amare. Quando, nonostante i miei sforzi, non riuscivo a controllare un moto di ripugnanza, le chiedevo scusa. Dopo un po’ di tempo, mi disse: “Fai tutto come neanche mia figlia riuscirebbe a fare, perché lei perde sempre la pazienza con me”. Un’altra volta: “Sai, ti do tutto quello che vuoi, ti pago, di do oro…”. Le risposi che non lo facevo per i soldi”. E lei: “Non essere stupida, stupida, accetta”. E poiché insisteva, le dissi che avevo un desiderio, ma che non doveva sentirsi obbligata ad esaudirlo: ciò che desideravo soprattutto era che si riconciliasse con Dio. Mi guardò e replicò: “No, vedi, questo è assolutamente impossibile”. Fu dimessa dall’ospedale, e quando tornava per i controlli non mancava di venire a salutarmi. Un giorno venne accompagnata dalla figlia e dal genero: mi accorsi, con sorpresa, che andavano d’accordo. Un altro giorno mi disse: “Basia, ricordati di me domani “. “Cosa succederà?”. “Domani viene il sacerdote e mi confesso. È da trent’anni che non lo faccio, allora ricordati di me perché riesca a farlo bene. Ma dimmi: Dio mi perdonerà tutto? “. “Veramente tutto”, le risposi. Dopo qualche tempo, seppi che era stata ricoverata in un altro ospedale, ed andai a trovarla. Mi confidò: “Basia, se non ci fosse stata quella confessione, ora non riuscirei a sopportare tutto questo: sto perdendo la vista, divento sempre più debole. Ma ho scoperto che Dio mi ama e che mia figlia è meravigliosa”. Aveva trovato un tesoro più grande, quello che non le verrà tolto. Basia – Varsavia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons