Le risorse dell’economia civile in una democrazia malata

Ad una settimana esatta dalle elezioni del 25 settembre è terminato il grande evento del Festival nazionale dell’Economia civile. Il volto di una società civile consapevole della difficoltà in cui si dibatte il nostro Paese. In evidenza l’eredità della lezione del grande economista Giacomo Becattini di un’economia a servizio della felicità dei popoli
Economia Civile foto Festival Firenze 2022

Giunto alla quarta edizione che si è svolta anche quest’anno nella magnifica sala dei Cinquecento a Firenze, il Festival nazionale dell’Economia civile dimostra una capacità di interlocuzione notevole con le istituzioni, la politica e il mondo dell’informazione realizzata grazie anche all’investimento di Federcasse, cioè la Federazione italiana delle banche di credito cooperativo – casse rurali ed artigiane.

Il senso dell’iniziativa lo esprime con la consueta chiarezza il suo principale animatore e cioè l’economista Leonardo Becchetti, fondatore della rete Next, Nuova economia per tutti. Secondo il professore ordinario di Economia a Roma Tor Vergata, «la democrazia funziona se esiste cittadinanza attiva e per fortuna il nostro Paese ha una storia ed un presente di grande ricchezza di rete di reti del fare che hanno sperimentato e vissuto sui territori una nuova frontiera di buone pratiche fatta di generatività, cittadinanza attiva, inclusione, innovazione armonica e sostenibile, comunità energetiche, coprogettazione, welfare delle relazioni e della cura».

Il merito di questa edizione del Festival è stato tra l’altro quello di mettere in evidenza la lezione di Giacomo Becattini, un grande economista fiorentino scomparso nel 2017, conosciuto principalmente per i suoi studi sui distretti industriali ma in realtà un vero e proprio maestro di una concezione dell’economia capace di tornare a quella che era in origine e cioè «lo studio dell’organizzazione sociale più favorevole alla felicità dei popoli».

Come ha detto già nel 2016 Luigino Bruni, «l’economia dei distretti è parte migliore dell’economia e della società Italia, dove si esprime il lato luminoso del modello comunitario italiano. In anni nei quali gli studiosi parlavano dell’Italia come paradigma di familismo amorale, di legami sociali che imbrigliavano il nostro capitalismo “relazionale”, di nanismo delle imprese familiari e di insufficienza di capitale manageriale, Becattini ha raccontato un’altra storia, ha composto una musica in controcanto. Quando tutti vedevano il futuro dell’economia italiana nel “grande, lontano, anonimo”, Becattini continuava a ripetere che è la foresta non il singolo albero a determinare lo sviluppo economico».

Si comprende perciò il criterio della classifica sulle città del “benvivere” promossa ogni anno in concomitanza del Festival per offrire uno sguardo sul nostro Paese non tanto per mettere in evidenza ciò che si sa ma al fine di indicare dove e come intervenire per cambiare le cose nei territori. Ricette e proposte che vengono riproposte ogni volta anche se i decisori politici spesso non sono seriamente intenzionati ad intervenire. Come ha fatto notare Becchetti davanti all’enorme problema del caro bollette senza controllo, «se la politica avesse ascoltato di più (non dico 20 anni fa ma almeno 1-2 anni fa) le reti della società civile che da 20 anni si battono per la svolta verso le rinnovabili (comunità energetiche per le famiglie, autoproduzione per le imprese), non ci troveremmo in questa situazione».

La critica si accompagna tuttavia alla proposta e al dialogo con tutti, come è avvenuto con la presenza negli incontri del Festival di rappresentanti di alcuni partiti oltre a figure istituzionali di primo piano come il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, che non ha avuto timore, a fine del suo mandato, di definire “malata” la democrazia italiana.

Anche se la soluzione, secondo l’ex presidente del consiglio, esponente di primo piano del Partito socialista degli anni 80, «non è l’autoritarismo. Le nostre sono democrazie malate e la correzione non è diventare regimi autoritari, ma costituire condizioni che ci permettano di far fruttare al meglio il meglio che abbiamo. Per questo sto dicendo da tempo che credo molto alle procedure partecipative».

Per Amato «dobbiamo mettere a frutto le risorse, istituzionali e non, per la tutela del bene comune. Il bene comune è il senso dello stare insieme in ragione del quale ciascuno di noi non persegue soltanto il proprio bene, ma è parte di una vicenda comunitaria. Da tempo sollecito il volontariato ad assumere ancora più responsabilità di quelle che ha già. C’è un dato quantitativo: i partiti politici nella loro grande stagione contavano 4 milioni di iscritti rispetto alle migliaia di oggi, oggi invece 4 milioni di persone sono attive nel terzo settore».

E questa realtà di politica attiva vissuta in ambiti diversi dai partiti è stata al centro dei premi e riconoscimenti delle buone pratiche di imprese sociali, cooperative e associazioni che sono state definite ambasciatrici dell’economia civile nella società italiana in trasformazione e frastornata da una campagna elettorale che si avvia velocemente verso la fine mentre cresce l’incertezza sulle possibili involuzioni della guerra in Ucraina. Questione centrale emersa nel collegamento dalla sede delle Nazioni Unite con l’economista statunitense Jeffry Sachs. Secondo il famoso esponente liberal occorre «fermare la guerra in Ucraina avviando subito seri negoziati. Non abbiamo bisogno di contrapposizioni, ma di dialogo a livello globale, in particolare con Russia e Cina». Si tratta di «superare questa mancanza di diplomazia, la non volontà e l’incapacità delle leadership politiche di porre fine alla guerra. Solo arrivando ad un negoziato sarà possibile dedicarsi ai problemi globali, primo fra tutti quello del cambiamento climatico».

Sachs ha parlato anche delle straordinarie inondazioni che hanno colpito le Marche in questi giorni come avvenuto recentemente nel lontano Pakistan (dove un terzo del Paese è finito sott’acqua) per dire che «siamo nel mezzo di uno stravolgimento gravissimo dell’equilibrio climatico. Non una crisi del futuro, ma una crisi del presente». Una presa di consapevolezza che richiede alla realtà complessiva che ha dato vita al Festival di essere pronte ad affrontare il volto del Paese che uscirà dalle urne del 25 settembre.

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