Le relazioni umane di Emanuel Gat a Romaeuropa

Destinato ad una carriera di direttore d'orchesta l'artista presente al festival romano costruisce sulla musica i passi e le coreografie della sua ultima produzione: la vita si articola in movenze che ne disegnano complessità e ricchezza
Emanuel Gat coreografia

Ha creato, nel silenzio assoluto, una composizione musicale attraverso il puro movimento. Ha danzato in ritmo salsa il rito pagano del "Sacre du printemps" di Stravinskij con soli cinque interpreti. Ha trasformato in passi da disco il "Requiem" di Mozart. E, su tre dei ventiquattro "Lieder" di Schubert, ha creato un passo a due maschile con movimenti ipnotici e a specchio. Il suo è un eclettismo raffinato di musiche che abbraccia diverse epoche. È la musica a muovere la creatività di Emanuel Gat . E non poteva non essere così per uno con studi musicali alle spalle e destinato ad una carriera di direttore d'orchestra, trasmigrato invece nel mondo della danza da autodidatta e diventato in breve tempo personalità di culto nello scenario internazionale, trasferendosi in Francia dove dal 2004 ha fondato una compagnia che porta il suo nome.

A influenzare anche The Goldlandbergs, l'ultimo lavoro del coreografo israeliano reduce dal successo di Montpellier Danse, ed ora al Romaeuropa Festival, è stato il pianista e compositore canadese Glenn Gouldche non disdegnava sconfinare in altri ambiti. La colonna sonora, infatti, si basa principalmente su un documentario sonoro, “The quiet in the land”, realizzato nel 1977 per la Radio canadese dedicato a all'esplorazione del senso religioso di una comunità anabattista del Fiume Rosso in Manito. Sono una sovrapposizione d’interviste, musica, suoni ambientali, che creano un vero e proprio poema sonoro. Sempre di Gould sono stati usati anche alcuni estratti della sua celebre interpretazione delle “Variazioni Goldberg” di Bach.

Gat crea una danza che si moltiplica su diverse linee per articolare nello spazio i motivi che muovono la vita. «Non tanto un racconto di fatti – spiega lo stesso Gat – ma una narrazione metaforica, attraverso la complessa natura delle relazioni tra le persone». Un grande affresco coreografico sulle passioni e sull’agire umano, attraverso un’architettura di gesti di morbida sensualità e movimenti di pura danza per svelare i motivi e le forze che regolano l’agire degli uomini. Gli otto danzatori si attraggono e si respingono, forti e fragili com'è nella natura umana, in coppia, a gruppi, e, all'apice della tensione fisica, accerchiati da una scatola di luci che piomba su di loro, quasi bruciandoli.

Gat crea un dialogo fra la danza, la musica, e il silenzio, concepite come entità autonome, campo infinitamente vasto aperto alla ricerca. Gat non inventa nulla di nuovo, ma cerca, piuttosto, nuovi modi per capire le cose attraverso regole e meccanismi sempre più complessi che esaltino la danza pura. Da un'elaborazione contrapposta di silenzio e sonorità, passa a una struttura coreografica all'insegna di stasi e movimento. Dentro corridoi di luce, di buio improvviso e di penombre, i danzatori entrano ed escono come note viventi di un pentagramma che va componendosi sulla pagina neutra della scena. È un processo di scoperta del gesto che sembra avvenire sul momento.

La struttura coreografica prende forma nello spazio attraverso le dinamiche dei danzatori. Si muovono in sviluppi circolari o in linee orizzontali, isolando improvvisi duetti e terzetti, in più punti della scena, scaturiti da input gestuali, dalla forza del movimento, da impulsi in perenne mutamento. La scrittura coreografica prende vita in ciascuno dei corpi in tensione statica ed esplode simultaneamente in più punti dello spazio in maniera apparentemente disarmonica, pronta però a ricompattarsi sempre in continue e moltiplicate armonie che si aprono a nuove traiettorie e fughe. Movimenti brucianti e fluidi di busti e braccia, di gambe piegate a terra, di scivolamenti, di saltelli in verticale e cadute. In un'atmosfera sospesa, che blocca le sequenze e arriva al silenzio assoluto, Gat scrive segni di pura danza, catturando qualcosa dell'esistenza umana. Sempre in divenire.

All’Auditorium Conciliazione di Roma per il Romaeuropa Festival.

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