Le regole della pace
Non basta invocare la pace se non si assume lo stile di operatori di pace, scegliendo la strada della non violenza. È questo il senso del messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2017. Tutti, dai leader politici ai capi religiosi, passando per gli operatori economici, i responsabili dei media, siamo interpellati perché ogni nostra azione «per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace».
A guidarci è l’esempio di tante figure che, con visioni e credi diversi, hanno operato nello slancio verso gli altri, modificando modi di pensare, abbattendo muri, ridisegnando gli equilibri della geopolitica.
La strategia dell’amore, il valore del perdono e le regole della riconciliazione non sono solo strumenti da utilizzare con coerenza, ma regole da cui dipende la correttezza e l’efficacia dei comportamenti. La non violenza non è uno slogan, ma l’impegno a trasformare le persone e quindi gli assetti sociali, le leggi e le istituzioni, le condizioni economiche, i rapporti internazionali. E così facilitare una convivenza tra le persone che ha come obiettivi sicurezza, pace e sviluppo. Abbandonata la rassegnazione o la ancor più pericolosa indifferenza, ci attende una scelta impegnativa: operare nelle relazioni tra persone, popoli e Stati per generare il dialogo, la comprensione, la gratuità, l’unità con gli altri, anche i nemici.
Il papa ci ricorda che dalle «preziose potenzialità delle polarità in contrasto» possono scaturire soluzioni, o almeno argini, ai conflitti in cui la violenza conduce «a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo».
In un mondo ormai post-globale a causa della frammentazione crescente, «la violenza non è la cura», ma solo il modo per creare e combattere il nemico. La pace, invece, impone di «superare la categoria del nemico, di qualsiasi nemico», come diceva Chiara Lubich all’Onu nel 1997. Evitando di fronte alla violenza di restare testimoni sorpresi o che gridano allo scandalo, pensando che la soluzione spetti ad altri.