Le ragioni per un reddito di inclusione
Senza alcun timore, la Caritas italiana, nel suo ultimo rapporto sulla politica contro la povertà in Italia, ha messo in evidenza l’ abituale indifferenza dei recenti governi nell’iniziativa a favore delle fasce deboli della popolazione, indicando tuttavia nell’azione del Movimento 5 Stelle a favore del Reddito di cittadinanza, e altre proposte di Lega, Sel e minoranze del Pd, un segnale da cogliere come rinnovata attenzione nell’ambito del dibattito politico.
Ovviamente, come ha ribadito la ministro Maria Elena Boschi, durante un dibattito interno all’area dem, l’intervento in materia da parte del governo Renzi non è certo «il reddito di cittadinanza ma ipotesi diverse all'esame del ministro Poletti che riguardano forme di inclusione» anche se «sia per quanto riguarda questa proposta che le forme di flessibilità sulle pensioni occorre tener conto dei conti pubblici».
Resta un dato strutturale che la sociologa Chiara Saraceno ha messo in evidenza nella sua ultima pubblicazione, non basta avere un lavoro per uscire dal rischio povertà: «un reddito solo in famiglia può non bastare, soprattutto in assenza di trasferimenti, in particolare per il costo dei figli».
Le ragioni della necessità di una qualche efficace forma di reddito di inclusione non è una questione di intervento compassionevole, ma si trovano all’interno della grande trasformazione sociale secondo l’economista Leonardo Becchetti, che abbiamo intervistato.
A cosa stiamo assistendo nella distribuzione della ricchezza a livello planetario?
«Si tratta di un fenomeno ben conosciuto e di lunga durata nell’economia globale: le conoscenze codificate possono ormai essere facilmente spostate ovunque e riprodotte con attività routinarie e ripetitive da macchine o da lavoratori a basso costo per generare beni e servizi standard».
Chi ci sta guadagnando?
«I profitti derivanti dalla vendita di questi beni standardizzati su larga scala si concentrano nelle mani dei proprietari delle aziende mentre i lavoratori sindacalizzati e ad alte tutele che prima svolgevano queste mansioni nei Paesi ad alto reddito vengono espulsi dal mercato del lavoro. Ma si tratta di un effetto indotto anche da altri fattori».
Ad esempio?
«Le comunità di utenti in rete hanno imparato a scambiarsi e condividere beni e servizi a costo zero riducendo ulteriormente le aree di lavoro ben pagato, mentre anche le grandi aziende, soprattutto nel settore ICT, vendono alcuni dei loro prodotti gratis pur di crearsi una rete fidelizzata di clienti, distruggendo con questo tipo di concorrenza aziende che vivevano di quel solo prodotto».
Ma chi si salva da questa area del lavoro sottopagato o dalla vera e propria espulsione dal lavoro?
«Tutti coloro che si occupano di servizi alla persona che sono, per loro natura, non standardizzabili. Restano a galla e molto bene i “creativi”, una categoria non certo troppo vasta che include gli operatori della cultura e del tempo libero, le superstar dei vari settori, gli innovatori, i prestatori di servizi professionali e ad alto valore aggiunto».
Esclusi i creativi e i proprietari delle aziende capaci di fare profitto dalla produzione standardizzata, cosa resta?
«Abbiamo un sistema economico che produce molti scartati e forti diseguaglianze di reddito con gravi rischi di tenuta politica e coesione sociale (l’ostilità verso i migranti ne è un esempio)».
Con quali conseguenze?
«La concorrenza feroce sul costo del lavoro dei prodotti standardizzati genera una tendenza deflazionistica ( una debolezza della domanda di beni e servizi che produce recessione, ndr) . La presenza di una vasta parte di soggetti con redditi declinanti o espulsi dal mercato del lavoro ha effetti negativi sulla domanda».
Come si può intervenire per frenare questa involuzione?
«Evidentemente bisogna saper aumentare la quota di lavori creativi a partire dal momento della formazione scolastica. Bisogna saper agire perché i profitti dei proprietari dei beni capitali siano condivisi su più larga scala contrastando evasione ed elusione fiscale, favorendo forme di proprietà diffusa. Ma tutto ciò non basta»
E cosa occorre fare ulteriormente?
«Bisogna creare molta, molta più moneta di prima e, se possibile e i vincoli di bilancio lo consentono, sostenere la domanda con investimenti pubblici ad alto moltiplicatore».
La moneta è stata creata dalla Bce con il quantitative easing ..
«Certo, ma il meccanismo ingegnoso ideato per aumentare la moneta in circolazione si ferma nel settore finanziario producendo rischi di bolle speculative mentre i rubinetti di liquidità verso famiglie e imprese restano ancora semichiusi. Per questo motivo, in un sistema siffatto non può pertanto non diventare pilastro fondamentale un reddito attivo di cittadinanza in grado di sostenere il reddito e la domanda aggregata di tutti gli espulsi da lavori routinari che stanno cercando di riqualificarsi in lavori più creativi».
Vede esempi in questo senso?
«Il caso dell’ex sussidio di disoccupazione (nuovo Aspi) esteso a due anni, ad esempio, può essere attivo ed intelligente se subordinato all’effettiva ricerca di nuovo lavoro e alla prestazione di attività sociali che diano dignità al ricevente evitando un’umiliante elemosina ed evitino per quanto possibile abusi e il nero».
Le vostre proposte di economia civile sembrano,tuttavia, lontane da questa concretezza…
«Bisogna saper guardare le cose in una visione generale e complessa. L’economia civile proprio attraverso la rivoluzione del voto col portafoglio e la nascita delle imprese multistakeholder, cerca pian piano di rendere questo sistema molto più equo, partecipato e in grado di generare le condizioni per il bene comune non lasciando nessuno indietro (inclusi i lavoratori sottopagati per i quali i consumatori che votano col portafoglio creano condizioni di riscatto sociale). E in questo quadro il reddito d’inclusione diventa un tassello fondamentale da prendere in esame seriamente».