Le ragioni di un NO sociale alla riforma costituzionale
Nell’ascolto delle diverse posizioni relative al referendum costituzionale del 4 dicembre, abbiamo rivolto alcune domande a Giovanni Russo Spena, responsabile del partito della Rifondazione comunista nel Comitato per il NO. Giurista e docente universitario, è stato più volte eletto in parlamento nelle fila dei partiti della sinistra definita radicale, da Democrazia proletaria a Rifondazione comunista. Quello che esprime è un No “sociale” che fatica ad essere conosciuto, nonostante la manifestazione di domenica 27 novembre a Roma di diversi movimenti e comitati, perché sembra che la contesa sia tra il partito di Renzi, la destra, il M5S e la dissidenza interna allo stesso Pd.
La riforma tocca la seconda parte della Carta e non la prima che pone i principii generali. Come si spiega il vostro dissenso?
«Il NO sociale è utile politicamente per dare un connotato anche di sinistra al NO. Ha formato, sul territorio, 750 comitati e si sta manifestando con un lavoro capillare e anche con inatteso coinvolgimento di giovani, ragazze, sindacalismo di base, centri sociali, ecc. È infantile la provocazione renziana di ritenere se stesso un rappresentante di un voto progressista mentre è solo la protesi, la proiezione dei poteri finanziari nazionali ed internazionali che ricattano la sovranità popolare. Il vero scontro, nel referendum, infatti, è tra il cortocircuito oligarchico renziano dell’ “uomo solo al comando” e la democrazia costituzionale organizzata, che si dialettizza con la democrazia diretta, la cooperazione, l’autogestione, il tessuto fitto di lavoro democratico di base nella società. Perciò non cambia solo la seconda parte della Costituzione ma anche la prima. Cioè la sovranità popolare e i diritti fondamentali al lavoro, al reddito, alla salute, alla scuola repubblicana, all’ambiente. La vittoria del “NO”, infatti, sarebbe anche la critica profonda di tutte le controriforme degli ultimi governi (una vera e propria “mattanza sociale”). Chi vota “NO” dà un giudizio negativo del governo figlio dei poteri finanziari, dello strapotere delle banche e delle grandi industrie».
Una riforma costituzionale va fatta col consenso più esteso ma come si può arrivare ad un accordo con una spaccatura nel Paese che appare così grande da non poter condurre a nessuna soluzione condivisa?
«La Costituzione non è solo architettura costituzionale ma spirito e unità della Nazione. Renzi sta “avvelenando i pozzi”. Tenta, con il referendum, la legittimazione plebiscitaria del suo potere. È una responsabilità storica: sta spaccando il Paese proprio sulla Costituzione, che deve essere di tutte e tutti. Sta legittimando, per un pugno di voti, la peggiore demagogia populista. E il populismo del potere è già regime. Le madri e i padri costituenti, dopo la lotta partigiana, scrissero, con pazienza e rispetto delle posizioni reciproche, un testo straordinariamente democratico che unì il Paese. È una memoria storica fondativa da non cancellare».
Il settimanale liberista Economist sembra tifare per il NO e a favore di un governo tecnico. Quale è il vostro parere in merito? In caso di vittoria del NO chi si siederà al tavolo per decidere cosa fare? Quale è la vostra proposta e come può provare a farsi strada?
«Sono contrario ad un governo “tecnico” che sarebbe in perfetta continuità con il governo Renzi. I governi non sono mai “tecnici”, ma sempre politici. Cambierebbe solo di spalla il fucile del potere finanziario. Penso che la vittoria del NO dovrebbe portare ad un governo istituzionale di 6 mesi che dovrebbe scrivere una legge elettorale non incostituzionale ed indecente come l’ Italicum renziano e, poi, portare il Paese al voto. Ricordando sempre che Renzi nasce da un voto solo interno al Parlamento dopo le “primarie” di un solo partito. Sceglierà il Presidente della Repubblica. Il “NO” sociale non parteciperà a tavoli istituzionali, ma sarà più forte per chiedere, anche con l’organizzazione del conflitto democratico e sociale, l’abrogazione delle controriforme renziane (lavoro precario, voucher, scuola di classe , ecc. ).
In caso di vittoria del SI che scenari si apriranno e come andrebbero affrontati?
«La vittoria del SI sarebbe la stabilizzazione del potere oligarchico della finanza sotto il comando dell’Unione Europea. Non fermerebbe la strada del cambiamento (noi non ci arrendiamo). Ma la renderebbe più ardua e tortuosa».