Le ragioni dell’elettore
A bocce ferme si ragiona meglio. Sono passati quasi due anni dalle elezioni politiche del 2001, e le prossime sembrano ancora lontane. Può essere utile, allora, riprendere in mano l’argomento, facendosi aiutare da una inchiesta seria e competente realizzata dal gruppo Itanes, che ha utilizzato i più avanzati metodi di ricerca sociale, concentrandosi soprattutto nel cercare di capire le ragioni individuali che hanno determinato le scelte degli elettori (1). È un lavoro utile, non solo ai politici e ai partiti, ma anche a ogni cittadino che, attraverso questi dati, può essere aiutato a capire le ragioni degli altri. Le informazioni raccolte ed elaborate al di fuori di ogni interesse di parte, inoltre, fotografano la situazione della democrazia italiana, e in particolare il livello di maturità con il quale i cittadini la vivono. L’inchiesta rileva che gli italiani si sono abbastanza saldamente distribuiti fra le due coalizioni; permane una certa mobilità dentro di esse, nel senso che gli elettori decidono di volta in volta di passare da un partito all’altro, ma quasi sempre all’interno della stessa alleanza. Questa bipartizione, ci si rende conto, ha radici antiche: nonostante tutte le differenze sociali, culturali e politiche del nostro tempo rispetto al dopoguerra, se si confrontano i dati delle elezioni del 1948 con quelli del 2001, si ottiene un risultato impressionante: le percentuali dei voti e la distribuzione geografica dei consensi all’Ulivo e alla Casa delle libertà, ricalcano in maniera molto vicina quelle che riguardarono, a suo tempo, il “Fronte del popolo” e la Democrazia cristiana. I due schieramenti attuali sono ancora, in gran parte, caratterizzati da due sistemi contrapposti di valori politici, ancorati a elementi tradizionali. Questo spiega perché, se ci si chiede “per che cosa” si è votato nel 2001, al primo posto, per l’insieme degli elettori, c’è la coalizione; al secondo (e questo è, come vedremo, un importante elemento di novità) si situa il programma; dopo, viene il leader, seguito dal partito; e infine, all’ultimo posto e a grande distanza, il candidato del collegio. Questo è il risultato che riguarda l’insieme degli elettori. Ma all’interno delle due coalizioni le cose si modificano. Gli elettori del centro-destra mettono al primo posto il leader; quelli di centro-sinistra, dopo la coalizione, votano il partito. In entrambi i casi le cose non cambiano per il candidato del collegio, quello che dovrebbe rappresentare il volto della politica più vicino ai cittadini, che rimane all’ultimo posto. Ed è questo l’elemento più preoccupante della graduatoria, che sottolinea la mancanza di partecipazione politica diretta e diffusa; due dati, infatti, accomunano la grande maggioranza degli elettori di entrambi gli schieramenti: il disinteresse per la politica e il distacco dalle istituzioni. Sono dati che indicano, per coloro che credono nella possibilità di una politica partecipata e realmente rivolta al bene comune, un grande settore di impegno: quello di coinvolgere gli altri cittadini in un rapporto costruttivo e diretto con i candidati, cercando di realizzare quel “patto etico-politico” che caratterizza molte esperienze dei nostri lettori. Fra i molti fenomeni che emergono dal quadro politico italiano contemporaneo, scegliamo di sottolineare tre aspetti di novità, che offrono altrettanti spunti di impegno. Il primo si è affacciato nel corso degli anni Novanta, per divenire maggiormente esplicito nell’ultima competizione elettorale: l’importanza dei programmi proposti dalle due coalizioni. Non che in passato i programmi non ci fossero; il problema è che – come è stato rilevato da un gran numero di studi – sia le élites politiche sia la grande maggioranza degli elettori, semplicemente, vi badavano molto poco. Gli elettori, alla fine, votavano in base ad una appartenenza ideologica ed esistenziale, anche se il programma del loro partito non li soddisfaceva. Esisteva dunque una notevole divaricazione fra le opinioni degli elettori sui problemi specifici e il loro comportamento elettorale. Da qui l’importanza veramente minima dei programmi. Nelle elezioni del 2001, invece, le proposte delle due coalizioni si sono fortemente differenziate, e gli elettori hanno maggiormente legato le scelte politiche alle scelte elettorali; anzi, ciascuna delle due coalizioni si è caratterizzata perché proponeva alcuni temi e non altri. Questa associazione fra i partiti e le proposte politiche viene chiamata “proprietà delle tematiche “: una delle ragioni della vittoria del centro-destra sta nel fatto che la maggioranza degli elettori gli ha attribuito la “proprietà” delle tematiche avvertite come più importanti. Queste tematiche sono, nell’ordine: disoccupazione, criminalità, sanità, giustizia, immigrazione straniera, diminuzione delle tasse (da notare, di passaggio, che solo lo 0,9 degli elettori considerava di primaria importanza la riforma federale dell’Italia, relegata all’ultimo posto fra le quindici tematiche proposte). Gli elettori hanno attribuito una uguale attenzione al problema della disoccupazione ad entrambi gli schieramenti, e un prevalente interesse per la sanità al centro-sinistra: ma gli altri quattro temi venivano associati ad un voto per il centro-destra. E qui subentra il secondo elemento di novità: il ruolo giocato dall’attribuzione di competenza. La maggior parte degli elettori ha percepito il centro- destra come maggiormente competente nell’affrontare i temi più importanti; e non solo i temi “di proprietà” della Casa delle libertà, ma i temi che motivavano un voto per il centro-sinistra, compresa la sanità. Un aspetto disastroso per quest’ultimo, inoltre, è che l’attribuzione di una maggiore competenza al centro-destra interessa anche quote significative di cittadini (fra il 9 e il 24 per cento) che, pure, hanno votato per Rutelli. Il terzo elemento di novità riguarda il ruolo della televisione. L’inchiesta stabilisce senza alcuna incertezza che gli elettori del centro-sinistra guardano prevalentemente la Rai, quelli di centro-destra Mediaset; ma stabilisce anche che la televisione non ha un ruolo di manipolazione nei confronti di spettatori passivi, al contrario: gli spettatori scelgono la rete in base alle loro preferenze elettorali già acquisite, e chiedono alla televisione di confermare il proprio orientamento. Un dato di forte interesse è che gli elettori del centro-sinistra sono più attivi e partecipativi alla politica rispetto a quelli del centro-destra, e risultano meno dipendenti dalla televisione per la propria informazione politica; ma molti di loro non sanno motivare le ragioni del proprio voto; al contrario, gli elettori del centro destra – che guardano con maggiore assiduità la televisione – esprimono con maggiore decisione e chiarezza i motivi della propria scelta. Il centro-destra sembra dunque avere beneficiato di una azione di reciproco rinforzo fra le convinzioni dell’elettorato e la comunicazione televisiva; cosa che non è riuscita al centro-sinistra. Indipendentemente da come è andata nel 2001, è certamente un passo avanti che le tematiche contenute nei programmi siano diventate importanti. ma la situazione dell’elettorato è ancora fortemente immatura, perché sceglie fra i partiti in base ai temi che essi sottolineano, e non, come sarebbe logico, in base alle diverse soluzioni che i partiti propongono per affrontare lo stesso tema. Questo ulteriore passo di maturazione è un obiettivo sul quale lavorare, e proprio nel rapporto diretto fra i cittadini e i candidati. Altro compito, infine, sembra quello di riuscire a superare la “spartizione” televisiva, sia creando altri poli di informazione, sia trasformando l’attuale duopolio. 1) Corbetta P., Caciagli M. (Edd.), Le ragioni dell’elettore. Perché ha vinto il centro-destra nelle elezioni italiane del 2001, il Mulino, Bologna 2002.