Le ragioni del “sì”

Il referendum può essere l’occasione per avviarsi in maniera  consapevole e positiva verso un nuovo paradigma energetico libero dalle fonti fossili. Non è più tempo di difendere vecchi oligopoli per proteggere il valore del capitale investito in una tecnologia ormai datata ​
Trivelle
Trivelle in mare

Per favore: nessuna battaglia ideologica. Non ne è più il tempo, né il momento. Tra l’altro, il quesito referendario è stato ridotto all’osso, grazie al governo che ha recepito molti dei quesiti posti dalle Regioni proponenti la consultazione referendaria.

È bene riconoscere, però, che in ogni tornata referendaria si vota sul merito e sulle implicazioni del merito referendario, cioè sulle conseguenze o i significati reconditi.

Nel merito si decide se abolire la norma che concede l’uso dei pozzi di gas e di petrolio fino ad esaurimento, che stanno entro le 12 miglia di distanza dalle coste e non più per la durata della concessione. Quindi, "sì" per mantenere l’uso e l’operatività fino a scadenza della licenza, "no" per lasciare l’uso dei pozzi fino a tempi indeterminati.

Per decidere è importante conoscere l’entità del fenomeno. Parliamo di 92 piattaforme che stanno a meno di 22 chilometri dalla costa, cioè di 35 concessioni di cui solo 26 realmente produttive. Sono all’opera 466 pozzi in tutto, che soddisfano il tre per cento del fabbisogno nazionale di gas e l’un per cento di quello petrolifero.

Allora la domanda è: vale la pena fare un referendum per decidere di una quota così marginale di energie fossili prodotte o da produrre? I fautori del "no" agitano anche lo spettro della crisi occupazionale del settore, soprattutto in Emilia, dove sono concentrati più del 50 per cento dei pozzi e hanno 15 mila addetti che muovono tre miliardi di fatturato. Gli interessi sono fondamentali in democrazia, si sa. Ma se le proporzioni degli addetti sono legate alla produzione, parliamo realisticamente di 150-200 occupati. Non siamo capaci di affrontare il  fenomeno con misure di solidarietà e di conversione occupazionale?

Queste sono le quantità della posta in gioco, che vinca il "sì" o il "no" (che si affermerebbe anche se non si raggiunge il quorum della metà più uno della popolazione votante). Ma se le cifre sono quantitativamente trascurabili, la qualità della scelta è, invece, fondamentale. In questo provo a illustrare qualche motivazione in favore di un voto per il "sì".

Cop 21 a Parigi (la conferenza sul clima) e l’enciclica del papa Laudato si' hanno contribuito in modo fondamentale a costruire una coscienza biosferica, cioè a comprendere che il biologico e il geologico sono in stretta relazione. Una relazione che è stata compromessa in modo irreversibile dall’azione umana. L’imputato dei cambiamenti climatici sono i combustibili fossili che causano la concentrazione di carbonio nell’atmosfera, con conseguente aumento della temperatura. In questa prospettiva ogni atto, pur minimo, quotidiano e individuale, di riduzione della produzione e dell’uso di energie fossili, è utile alla sopravvivenza della vita sulla Terra.

Ma l’argomento più importante è che siamo all’alba della terza rivoluzione industriale, quella che Ashton del Mit nel 1993 ha chiamato la Internet delle cose, che riguarda anche l’energia. Questo dovrebbe essere l’argomento da usare in questa occasione referendaria. Il referendum dovrebbe essere l’occasione per avviarsi in maniera convinta, consapevole e positiva verso il nuovo paradigma energetico. Due dati su cui riflettere. Il primo: 55/60 euro megawattora è il costo di produzione dell’energia elettrica con il gas, mentre il solare è sui 35 euro a megawattora e arriverà nel giro di pochi anni sotto i 20, 25 euro. Il secondo: per la prima volta nel 2015 gli occupati del settore fotovoltaico degli Stati Uniti – cresciuti per il terzo anno consecutivo del 20 per cento – hanno superato quelli impiegati nell'oil&gas.

La crescita è dovuta, principalmente, dalla diminuzione dei costi della tecnologia o in quello che gli economisti chiamano costo marginale di produzione. Se a questo dato aggiungiamo che nel 2013 i combustibili fossili hanno goduto di un sostegno pubblico per 550 miliardi di dollari, contro i 128 stanziati per le rinnovabili, il dato ci conferma della capacità rivoluzionaria in atto delle nuove tecnologie energetiche (e dello spreco di risorse pubbliche). È evidente che c’è una realtà molto più forte di quanto è percepito e raccontato, cioè la crescita della capacità di produzione e la riduzione dei costi è esponenziale per le energie rinnovabili.

Paradossalmente oggi ci troviamo nelle stesse condizioni dell’inizio del secolo scorso, quando dovevamo costruire l’infrastruttura della crescente energia prodotta dall’uso del petrolio, che soppiantava il carbone (strade, autostrade, plastica, auto ecc.). Se ci attardiamo a difendere i vecchi oligopoli per proteggere il valore del capitale investito in una tecnologia ormai datata, l’economia cade in una fase prolungata di stagnazione. E ciò è già vita quotidiana del capitalismo avanzato.

Non sarà questa tornata referendaria, per noi italiani, la causa occasionale e marginale per avviarci verso il nuovo paradigma di uno sviluppo sostenibile?

 

Leggi anche:

Cosa si decide sulle trivelle in mare, di Alessio Valente http://www.cittanuova.it/c/453190/Cosa_si_decide_con_il_referendum_sulle_trivelle_in_mare.html

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