Le querce di Loppiano
Fu in una città, alla fine degli anni Cinquanta, che incontrai i Focolari. Una città temporanea che si coagulava fra le montagne per alcuni mesi nell’estate. Si chiamava Mariapoli e adunava come in un semenzaio un piccolo popolo che, partito di là, si trapiantava nelle città di appartenenza di ciascuno. E qui si moltiplicava. Una rivista teneva collegati tutti e documentava una vita che coinvolgeva ogni attività dell’uomo. Si chiamava Città nuova. Non conosceva frontiere e si pubblicava, già allora, in molte lingue. Fu sulla copertina di una di queste riviste che, un giorno, vidi rappresentato con una grafica sintetica, ma efficace, lo schema ideale di questa città che, accanto alle case di abitazione, allineava una chiesa e le fabbriche con le ciminiere. Una città in cui si lavorava e si produceva; che dava spazio ad ogni aspetto della vita che l’uomo conduce. Dopo qualche anno mi trovai a costruire concretamente un primo abbozzo di questa città fatta di case vere dove vivere, di capannoni dove lavorare, di scuole, di strade e infrastrutture, fra i campi che pure lavoravamo. Era la cittadella di Loppiano. La prima di altre che via via sarebbero sorte nei vari continenti. Dalla vita che qui si conduceva, veniva la conferma alla validità di un progetto che a noi sembrava dettato in cielo e proiettato sulla terra per svilupparsi in forme concrete. Questo stesso giornale Città nuova non ha cessato mai di documentarne gli sviluppi. E dunque sapranno, i nostri lettori, dell’EdC, nata in Brasile e sviluppatasi in tutto il mondo sull’ordito di cui queste cittadelle rappresentano i nodi. Ed eccoci di nuovo a Loppiano, dopo quasi quarant’anni, a vivere non senza emozione un momento importante che ha ancora il sapore della fondazione. Ci sono Chiara Lubich e don Foresi che, oggi come allora, come sempre, hanno fornito la prima idea, prodotto l’innesco al fuoco che avrebbe forgiato ogni nuova realtà, modellato ogni sviluppo. Messo il sigillo. Non per caso è stata posta in questi giorni la prima pietra di una grande chiesa a completare il progetto della cittadella. Anche il progetto del Polo Lionello corona, per altro verso, questo disegno con proprie strutture murarie che presto prenderanno corpo in un terreno adiacente a Loppiano, in zona industriale. Ma oggi qui è già radunato il popolo che ad esso fa riferimento; che vi troverà casa. Ci sono centinaia di piccoli azionisti e ci sono decine di imprenditori che nello spirito e nelle regole dell’EdC gestiscono in luoghi diversi le loro aziende che qui avranno un loro punto di raccordo. Per farsi meglio conoscere, una sessantina di loro hanno allestito una mostra che sinteticamente espone l’immagine di queste aziende, qualche prodotto e” qualche produttore. È con loro che l’incontro si fa caldo, festoso. Perché in alcuni casi è un ritrovarsi dopo molti anni. E certe aziende ormai le gestiscono i figli. Si sperimenta che il tempo e la distanza non hanno intaccato quel senso di appartenenza ad una vera famiglia che ancora ci lega e in cui ci riconosciamo. Sono passati diversi anni da quando su queste colline del Valdarno fu messa la prima pietra della cittadella di Loppiano che oggi brulica di costruzioni, ferve di attività. Anche le piante sono cresciute. Quali più in fretta, quali più lentamente. Ne riconosco molte, mentre cammino all’ombra delle stesse querce annose di allora e penso che le prime ghiande germinarono da esse solo dopo cinquant’anni. Anche questo querciolo, cui mi piace paragonare il Polo Lionello, è frutto della maturità di un albero annoso, e di quello porta in sé la promessa di essere forte e longevo, prezioso per l’uomo e bello, perché risponde ad un progetto cui hanno posto mano e cielo e terra.