Le quattro Dame
Chi può vada a Milano, al piccolo e prezioso Museo Poldi Pezzoli, a scoprire una rassegna fra le migliori degli ultimi anni, dedicata alla bottega familiare dei fiorentini Antonio e Piero del Pollaiolo. Scoprirà capolavori.
I due fratelli sono celebri, specialmente Antonio, scultore orafo e pittore. In San Pietro in Vaticano si ammirano tuttora i giganteschi, raffinatissimi monumenti funebri dei papi Sisto IV e Innocenzo VIII, tappe superbe dell’arte rinascimentale degli anni ottanta del ‘400.
Ma a Milano, grazie a prestiti straordinari, si allineano ben quattro ritratti di dame, da Berlino, Firenze, New York e dallo stesso Poldi Pezzoli, tutte di Piero. Non sono soltanto ritratti, è un mondo, un concetto di bellezza e di grazia con cui entrare in contatto. Una bellezza non priva di imperfezioni fisiche, ma resa tale dalle vesti elegantissime, dalle acconciature ritmate con purezza, dalla luce dell’incarnato che splende sul fondo di un cielo solcato da nuvole e le rende immagini senza tempo di un ideale femminile fatto di raffinato equilibrio fra anima e corpo.
La donna come seduzione ideale delicatissima. I ricami delle vesti come segni di armonia, la pelle luminosa come voce di amore. Piero è un grande, anche nei soggetti sacri come il David da Berlino, fratello di quello di Andrea del Castagno e precursore, nel volto fiero, di quello michelangiolesco. Non solo, ma Piero è capace di innervare nel mito di Apollo e Dafne di Londra un’aura di incantamento leggiadro, che ricorda molto le atmosfere poetiche di un Poliziano.
Antonio è orafo fin nel midollo e lo si vede dai ricami sui parati per il Battistero fiorentino, di una tale squisitezza da far perdere gli occhi e nella Croce argentea con smalti dello stesso duomo: gusto per il dettaglio, inciso con determinatezza, per la rifinitura, ricordi classici immersi in un trionfo di luce bianco-argentata, di una linea nervosa che si fa sinuosa ad evidenziare vesti e muscoli.
E a questo proposito ecco la celebre lastra della Battaglia dei dieci nudi, rivisitazione acuta, dinamica del classico, con un amore infinito per il corpo che suggestionerà il giovane Michelangelo.
Ma Antonio va oltre: è capace di un realismo mistico di impressionante emotività. Mi riferisco al Crocifisso di San Lorenzo a Firenze, un gigante colorato, proporzionato, la faccia chinata con la bocca spalancata nell’ultimo spasimo. Un Cristo atroce, davvero morto. Eppure in questo sfinimento, il gigante emana ancora forza e “terribilità”.
C’è infatti nell’arte di Antonio un sentimento di grandezza che si coniuga con la delicatezza espressiva, con la luce che ombreggia nelle figure e ne esalta la linea, il dramma o l’estasi, così che dal Crocifisso sublime si passa alla tavoletta dell’Ercole e Anteo dove i due giganti dominano un cosmo fiorito di inusitata lentezza.
Ecco alcuni dei motivi per cui si direbbe necessario non perdere la mostra milanese. Ci porta dentro due anime grandi, entro un mondo – una “bottega” – dove la donna è vista nella sua idealità di eleganza e l’uomo in quella della fortezza.
Fino al 16 febbraio (catalogo Skira)