Le preoccupazioni del Sudest asiatico

Sta emergendo un ruolo internazionale sempre più pronunciato dell’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (Asean) nell’affrontare le questioni importanti della regione, compresa la spina nel fianco costituita dal regime militare del Myanmar. Quest’anno la presidenza dell’Asean spetta all’Indonesia
Sudest asiatico Marsudi
Il ministro degli Esteri indonesiano Retno Marsudi parla durante una conferenza stampa del ritiro dei ministri degli Esteri dell'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) a Jakarta, Indonesia, sabato 4 febbraio 2023. (AP Photo/Achmad Ibrahim)

Finalmente una donna a capo della diplomazia dell’Asean: Retno Marsudi per la precisione, ministro degli Esteri indonesiano. Una diplomatica che dal febbraio 2021 (dal colpo di stato dei generali del Myanmar) ha dimostato di non aver paura di sostenere la sua opinone discordante da quella dei ministri che l’hanno preceduta. Opinione che rispecchia quella del suoPaese, l’Indonesia, il Paese musulmano più popoloso al mondo, anche di fronte ai militari birmani. Succedendo alla Cambogia, l’Indonesia sarà per un anno a capo dell’Asean, facendo prevedere che non sarà un anno facile per il regime birmano in seno all’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico.

Sostenuta dal presidente indonesiano Joko Widodo, che ha dimostrato in questi due mandati di essere capace di guidare un Paese immenso per dimensioni e problemi (274 milioni di abitanti), Retno Marsudi ha subito chiesto l’applicazione effettiva del piano di pace in 5 punti che fu sottoscritto nell’aprile 2012 dal generale Min Aung Hlaing, a capo della giunta militare golpista del Myanmar. Si tratta di 5 punti disconosciuti, calpestati e stracciati nella pratica dai militari birmani, che secondo il regime di Nay Pyi Taw (la capitale dei militari golpisti) saranno applicati a tempo opportuno: in altre parole, mai!

Da febbraio 2021, il regime del Myanmar ha portato avanti una repressione senza fine, con 1,5 milioni di civili sfollati, 2.500 manifestanti uccisi e l’arresto di oltre 16mila persone. Ogni regola della Convenzione di Ginevra è stata stravolta e calpestata, compresa la proibizione di bombardare scuole o luoghi di culto, oppure di usare armi pesanti contro i civili.

La ministra Marsudi è decisa ad istituire un ufficio apposito, con diplomatici esperti, per «arrivare ad una soluzione» nel conflitto civile del Myanmar, o quanto meno a fare significativi passi avanti verso il cessate il fuoco fra le parti. Anche perché il Nug, ovvero il National Unity Government che si oppone ai militari golpisti, è sempre più riconosciuto a livello internazionale, con uffici di rappresentanza in varie parti del mondo. Inoltre, l’Asean non può continuare ad ignorare una realtà che scotta e che la divide all’interno. Si tratta della convivenza di due linee politiche divergenti: da una parte l’Asean marittima (Indonesia, Filippine, Malesia, Brunei e Singapore) che spinge e lavora per un cessate il fuoco e la riconciliazione delle parti in Myanmar; e dall’altra l’Asean del Mekong (Laos, Thailandia Cambogia e Vietnam) che non vogliono costringere il Myanmar ad un cessate il fuoco in nome della pace e della giustizia.

Naturalmente i Paesi dell’Asean del Mekong lo fanno in nome di una politica di non interferenza negli affari interni di un Paese membro, ma evidentemente anche perché questi Paesi hanno non pochi scheletri nei propri armadi da nascondere. Ma l’annunciata uscita dal Myanmar, all’inizio di febbraio, del gigante statunitense del petrolio, Chevron, è stato un colpo duro da digerire, per il regime birmano: in pratica, in campo petrolifero è rimasta in Myanmar solo l’azienda thailandese, la Ptt, che usufruisce praticamente da sola del petrolio birmano. Il dopo pandemia, inoltre, vede tutti i Paesi dell’Asean impegnati a riguadagnare quote di turisti, soprattutto indiani e cinesi, che da febbraio hanno ricominciato a viaggiare per i cieli dell’Asia senza bisogno di test covid-19.

I problemi sul tavolo dell’Asean, insomma, sono molti e non solo il Myanmar o la riconquista dei turisti. Ma secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, «la situazione del Myanmar potrebbe destabilizzare l’intera regione dell’Asean». C’è anche il rapporto tra la Cina e le nazioni confinanti nel mar cinese meridionale, con la miriade di isole contese. E i problemi non finiscono qui: gli Usa spingono per la formazione di una Nato asiatica con l’accordo Aukus dei sottomarini nucleari prodotti da Usa e Regno Unito (e non dalla Francia come era nel primo accordo del valore di circa 90 miliardi di dollari!) per contrapporsi alla Cina. E non da ultimo, le spese militari del Giappone che passano dall’1% del Pil (circa 47 miliardi di dollari) al 2% fino al 2027: cifre da capogiro per i produttori di armi che hanno di che festeggiare, naturalmente. «Finché ci sono nemici, ci sono scuse per vendere armi», dice sempre un mio amico il monaco buddhista thailandese Phra Mahathongrattanthavorn.

Lavorare per la pace: questo è il vero nocciolo della questione, e non lavorare per un riarmo che toglie risorse alla gente ed aumenta le tasse di tutti. La pace sarebbe la politica da portare avanti ogni giorno. Nella speranza che l’Asean muova nuovi e decisi passi in questa direzione.

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