Le politiche economiche tutte uguali
C’era stato l’allentamento dei conti dovuto alla pandemia, erano stati sbloccati ingentissimi fondi europei che poi hanno salvato – e stanno salvando – le economie del vecchio continente dall’annunciato crollo. Nelle politiche economiche alcuni Paesi sono stati più virtuosi, o più furbi di altri, Italia in testa, la quale dopo anni di umilianti code nelle classifiche economiche europee, ha cominciato a flirtare con le vette.
È poi giunta, parzialmente inattesa la guerra d’Ucraina, che ha risvegliato il demone dell’inflazione, e così le banche centrali, come d’altronde la Fed, hanno messo mano ai tassi di sconto per fermare la crescita dei prezzi a due cifre. Complice la discesa del prezzo del gas, dopo l’iniziale fiammata dei corsi ad Amsterdam, l’operazione sembra stia portando i frutti sperati. Le cancellerie dell’Unione europea sembrano cavarsela abbastanza bene, scaldando i motori per tornare al rigore di bilancio, tanto amato dai Paesi “virtuosi” dell’Europa del nord. Si discute sul quando, ma prima o poi ci si arriverà, e quindi i Paesi del sud fortemente indebitati ricominceranno a trovarsi in difficoltà, vedendo la spesa pubblica erosa dagli interessi sul debito.
Discorso a parte merita la questione britannica, che, a causa della Brexit, non ha potuto usufruire dei benefici della casa comune europea: nel Regno Unito cresce il partito di chi vorrebbe far marcia indietro, anche se una tale procedura pare oltremodo complicata e improbabile. E allora i realisti immaginano una progressiva reintegrazione di fatto del Regno Unito nel mercato comune europeo, con buona pace per gli orgogli vetero-imperiali di tanta parte dei sudditi di sua maestà Carlo, già intaccati pericolosamente dalla morte della regina Elisabetta.
In tutto ciò stupisce, ma nemmeno troppo, il comportamento delle cancellerie che, al di là del colore dei partiti che sono al potere, sembrano tutti perseguire la stessa linea economica, giustificata dal crollo delle ideologie e dalla progressiva scomparsa di una robusta borghesia di classe media, con la polarizzazione alle estreme della scala dei redditi: più ricchissimi, e più ricchi di prima, e più poverissimi, e più poveri di prima. La differenza delle politiche dei governi di sinistra e di quelli di destra sembra allora concentrarsi sulla difesa dei diritti umani. Intendiamoci, nessun partito in Europa sembra e può schierarsi contro la difesa dei diritti umani, ma – questo sì – si può scegliere quali diritti difendere con più forza: quelli della famiglia tradizionale o quelli degli Lgbt, quelli della scuola e della sanità private o della scuola e della sanità pubbliche, quelli dei cattolici o quelli dei musulmani… Non è più l’economico che differenzia la sinistra dalla destra ma il sociale dei diritti umani.
Quest’attenzione quasi universale sui diritti sembra aver definitivamente messo in soffitta la questione dei doveri, per cui non sembra che cresca la responsabilità dei cittadini per una società più giusta: sì, discutiamo di diritti, ma lasciamo da parte il portafoglio. Crescono così i “radical chic” di sinistra, ma anche di destra, che si scandalizzano se un cagnolino viene trattato male (e hanno ragione), ma ignorando il migrante trattato come un cane, che non viene più difeso da nessuno (e non si ha più ragione).
Come uscirne? Qui sta la grande sfida della politica, quella vera, non quella delle grida e della demonizzazione, dei social usati come clava e degli algoritmi polarizzanti. Cittadinanza e responsabilità vanno riattivate prima che sia troppo tardi. Non è questione né di destra né di sinistra, per favore.
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