Le pietre cadute lungo la SP209

Lungo la strada che collega Visso al maceratese la faglia dei recenti sismi sembra essersi accanita sugli abitati senza logica apparente. La gente che non vuole andarsene, che aspetta la ricostruzione
Visso © Michele Zanzucchi 2016

Lasciata Tolentino e i suoi 10-12 mila sfollati, mi dirigo verso la strada provinciale 209, che collega la rinnovata strada statale 77 (tra Foligno e Civitanova Marche, recente opera che ha resistito in toto al terremoto, meno male) a Visso, uno dei paesi più colpiti dal recente sisma, in particolare quello del 30 ottobre. Cronaca di una via crucis di dolore e distruzione verso il Parco nazionale dei Monti Sibillini.

 

Pieve Torina. Il paese, 1500 abitanti, si divide tra una parte nuova e una più antica. Quest’ultima è zona rossa inaccessibile. Ma anche l’abitato più moderno porta evidenti le ferite delle scosse: parcheggio sotto un edificio di 30 o 40 anni fa che m’accorgo essere stato profondamente toccato anche nelle sue strutture di cemento armato. Noto le crepe a croce, segno di un sisma ondulatorio e sussultorio nel contempo. Un uomo sulla sessantina mi indica il suo appartamento, al quarto piano: «Non possiamo recuperare nemmeno un pigiama, un paio di scarpe. Lì ho messo tutti i miei risparmi di agricoltore. Dovrò ricominciare ad allevare qualche bestia». Ha gli occhi lucidi, la sua voce si rompe. «Non mi interessano tanto le cose, quanto il futuro di questa terra. Chi mai ci rimarrà dopo la nostra morte? I miei figli sono tutti fuori, tranne uno, che mi aiutava nei campi ma che ora ha deciso di trasferirsi verso la costa». Il sindaco Alessandro Angelucci, nel campo sportivo diventato ufficio comunale, pronto soccorso, sede della Protezione civile, si lamenta: «La situazione è drammatica, tutto è fuori uso o quasi. L’economia è a terra, come vivremo? Chi resterà qui? Lo Stato deve assicurarci un’assistenza più puntuale». Esco che arrivano quattro furgoni della polizia e altri mezzi di soccorso. La solidarietà nazionale s’è messa in moto.

 

Località Vari. Ecco la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, che risale alla prima metà del Trecento. La facciata è decorata con un piccolo rosone, mentre all'interno si conservano una tela raffigurante la Madonna di Andrea de Magistris e affreschi di Fabio Angelucci. Non c’è un cane, anzi uno c’è, con la coda tra le gambe, pare uno spinone di razza, chissà da dove viene. Mi si avvicina, si struscia contro i miei jeans. Mi guida verso la chiesa ferita, profonde crepe ne fessurano il campanile e la navata centrale. Un vecchio prete sta lì, guarda sconsolato la sua vecchia chiesa, ha 86 anni, è pensionato, lamenta «una valle che era cristiana e che diventerà nulla». Non riesco a capire le sue parole, in ogni caso apocalittiche. Ma il suo sguardo è ancora indomito. Fa per scacciare il cane con stizza, che si stringe alle mei gambe. Il vecchio prete m’appare l’icona delle devastazioni psichiche che questa gente valleggiana si trova a sopportare. Una scossa ci fa allontanare precipitosamente dall’edificio, cadono dei calcinacci: «Fin quando potrà resistere la Maria?», si chiede il curato. Gli faccio una carezza.

 

Località Appennino. Sulla montagna a Oriente si erge un borgo pittoresco, apparentemente non toccato dal terremoto; ma, come troppo spesso accade in questo sisma, ingannando chi l’osserva. 53 abitanti, forse la metà veramente stanziali, gli altri sono lavoratori migranti. I danni anche qui si vedono, fanno paura i rigonfiamenti delle pareti esterne degli edifici, i crolli appena sotto i tetti, le tegole scalzate, le travi spaccate. Una coppia di ultraottantenni siede su una panchina improvvisata. Hanno solo la forza di guardare il loro borgo, «è tutto un gran vuoto – mi dice lei –, non riuscirò più ad abitare qui. Mi è crollata addosso la dispensa, poi anche dei sassi, non so come sono viva». E lui, filosofo della terra: «Non siamo padroni da nessuna parte, la Terra ci domina, decide su di noi, siamo sempre in affitto».

 

Borgo Sant’Antonio. 103 abitanti, a un chilometro e mezzo dal comune di Visso. Alcuni edifici sono di pregio, erano di pregio, almeno. Il cimitero stesso ha subito danni, un paio di cappelle sono cadute, una dozzina almeno danneggiata. Sulla strada cadono le rovine di una chiesa di cui non posso non notare il portale in marmo di epoca antica. La Chiesa di Sant’Antonio venne in effetti eretta nel XIV secolo e presenta un portale in pietra bianca realizzato nel 1513 da un ignoto artista lombardo sul cui architrave è inciso il nome del priore e dei committenti dell’opera. L’interno, a croce latina e a unica navata conservavaun altare barocco del 1600 mentre nell’abside era possibile ammirare un Crocifisso ligneo del XVI secolo, opera di intagliatori vissani. Nel 1953 Padre Guido d’Assisi decorò le pareti e la volta del presbiterio con angeli, Buon Pastore ed i simboli degli Evangelisti, affiancati a motivi geometrici e floreali stilizzati. Dal 26 settembre del 1997 i terremoti hanno cominciato a danneggiare la chiesa, che è ora crollata dopo la scossa del 30 ottobre. Desolazione. Un uomo sulla cinquantina, abita in una casa attigua, col suo telefonino immortala la scena: «Chissà mai se riusciranno a ricostruire Sant’Antonio. Dubito. Ci sono tante altre priorità nel restauro delle opere d’arte, penso a Norcia o a Tolentino. Chi vuoi che si occupi di noi? Ma questa chiesa per me è il simbolo di un’Italia che non deve morire. Chissà che qualche imprenditore non se ne faccia carico…».

 

Visso. Quasi tutto l’abitato è in zona rossa, off limits. Al posto di blocco c’è gente scossa e sconsolata, che s’aggrappa all’idea che il peggio sia passato, ma con lo scetticismo di chi sa che non è finita. Il 24 agosto i vissani erano rimasti sollevati dal fatto che il peggio non fosse arrivato da loro, l’epicentro era più a sud. Hanno dovuto ricredersi, tanti se n’erano già andati, altri erano comunque in allerta. Nessun morto, un miracolo. Oggetti abbandonati, giocattoli violati. Case antisismiche spaccate. Uomini e donne che vogliono recuperare i loro affari. Lacrime. Vigili del fuoco che accompagnano a gruppi gli abitanti verso le loro case. La prospettiva del borgo medievale, bellissima ma deturpata da crolli, da pietre divelte. Furgoni delle tv, i giornalisti sono calmi oggi. Il mostro che si risveglia sotto le nostre scarpe, il terrore sul volto dei vicini, e anche sul mio e su quello dei poliziotti. Una vecchietta distribuisce caffè ai passanti. Grossi camion passano carichi di WC, di container, di assi, di tutto. I semafori sono al rosso fisso. L’esercito delle tute fluorescenti. Un cinquantenne in attesa di entrare nella zona rossa, barba di tre giorni: «Questo terremoto non ha fatto morti subito, ma li farà ora, dopo il sisma. Gente senza casa, senza lavoro, senza amici, senza chiesa, senza affetti. Qui si morirà poco alla volta».

 

La sfida del lungo terremoto è aperta. E rimarrà aperta a lungo, purtroppo. Questa gente ha bisogno di risposte di solidarietà e di ricostruzione.

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