Le piccole storie che fanno la Storia

Le piccole storie che fanno storia

E allora parliamone anche noi. A meno che non si appartenga alla categoria di coloro cui piace rimestare nel torbido, categoria che Dante avrebbe probabilmente messo nell’ottavo girone – ruffiani, maghi, ipocriti, seminatori di discordia, falsari e maldicenti –, penso e spero che nessuno dei nostri lettori abbia gioito per le divulgazioni spinte all’eccesso delle vicende personali del premier e delle sue frequentazioni.

Non entro nel merito della rilevanza politica dei suoi comportamenti privati, né sulla loro valenza etica ed educativa: sta alla coscienza civica di ogni cittadino giudicare i fatti e trarne le conseguenze, anche politiche.

Il pettegolezzo non rientra nella nostra linea editoriale e mai vi entrerà, che i nostri lettori stiano tranquilli! Riteniamo che esso sia un cancro della convivenza civile, oltre che un grimaldello che certi poteri usano per occupare il tempo della gente, impedendo loro di svolgere il ruolo di cittadini responsabili e riflettere su cose ben più gravi. Nulla tuttavia ci vieta di interrogarci sul perché dell’attuale invadenza del gossip (si dice così, ormai) in terreni “seri”.

Riflettevo su tutto ciò avvicinandomi ad un’edicola. Ben esposte c’erano le riviste esperte nel genere. Confesso la mia colpa: per acquistarne alcune ho speso qualche euro del capitale che tutti voi, cari lettori, mettete a disposizione perché Città nuova faccia informazione e formazione nello spirito della cultura dell’unità (più tardi, però, ho rimborsato il maltolto).

 

Ho appoggiato quelle riviste sulla mia scrivania e per un paio d’ore le ho sfogliate sottoponendomi all’ascesi della lettura di alcuni articoli. Strano, qualcosa mi attirava, qualcosa che però non aveva nulla di morboso. Non riuscivo a capire cosa fosse. Poi l’occhio m’è caduto sull’impaginato di un articolo che leggerete sul prossimo numero di Città nuova, appoggiato anch’esso sulla scrivania: la storia drammatica e commovente di un austriaco sopravvissuto alla furia omicida di un cliente dell’ufficio postale nel quale lavorava, un fatto di sangue e perdono.

In un lampo ho capito: quella storia aveva gli estremi per essere pubblicata anche sui giornali scandalistici, perché aveva a che fare con uno di quegli argomenti che fanno vendere, una delle famose “esse” – sesso, sangue, soldi, scandalo… –. Certamente avrebbe innescato una reazione positiva nei lettori, in un’epoca di insicurezza in cui si tende piuttosto a reagire sparando. Anche Città nuova pubblica in ogni numero racconti di vita vissuta, guidati dalle stesse esse, seppur intese diversamente: sesso (ben vissuto), soldi (ben spesi), sangue (versato per gli altri), scandalo (della croce)…

È la esse di “storie” che paradossalmente ci unisce ai giornali di gossip. Si raccontano storie con cui confrontarsi, che possano fungere da modello, che emozionino, ma che facciano anche riflettere. I lettori chiedono racconti di vita vissuta e non più solo buoni propositi, fumose teorie, teoremi politici o giudiziari… Storie e basta. Delle storie che, seppur con la esse minuscola, siano capaci però di orientare la Storia, con la esse maiuscola.

Troppo spesso le vicende di pettegolezzo sono solo distruttive, al punto che i protagonisti appaiono succubi della Storia, o piuttosto del caso. Invece le storie di Città nuova hanno come soggetti persone che, perché animate da una forza costruttiva (diciamo l’amore declinato nelle sue più varie espressioni), diventano piccoli-grandi protagonisti della Storia. Anche l’anonimo impiegato delle poste austriaco.

 

p.s. Mi si dirà che queste riflessioni sono frutto di buonismo. Non credo. Lo sguardo positivo posto su cose, persone e avvenimenti anche negativi permette di cogliere i “segni dei tempi”, e così anticipare le tendenze della Storia. La valorizzazione del contributo della singola persona alla Storia riteniamo sia uno di questi segni dei tempi. Un altro esempio? La copertina di questo numero non è un atto di deferenza opportunistica a un uomo politico, ma semplicemente la conferma che un altro “segno dei tempi”, quello del dialogo (che da cinquant’anni propugniamo), è il presente del futuro. Presente spiegato dalle tante piccole-grandi storie che pubblichiamo in ogni numero.

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