Le piace Brahms?
Cosa succede quando un direttore è “ispirato” e suonano insieme a lui i complessi di una orchestra sinfonica di primo livello? È amore, in una sola parola. Myung-Whun Chung conosce l’orchestra ceciliana per averla diretta anni fa in esecuzioni rivelative, come Il Franco Cacciatore di Weber. Ogni volta che ritorna, scocca di nuovo la scintilla come è dei grandi amori che non finiscono mai. Chung, 70 anni, è sud-coreano, ma ha studiato in America, è stato assistente di un grandissimo, Carlo Maria Giulini a Los Angeles e di lui conserva ancora il senso spirituale della musica e il gesto tra il passionale, il preciso, il sacrale.
Interpreta, o meglio co-interpreta con l’orchestra due sinfonie di Johannes Brahms. La Terza del 1883 è bellissima. I consueti quattro movimenti classici sono rispettati, ma come vita mormorante in ogni strumento, in ogni famiglia strumentale che dialoga con le altre in variazioni che sono flussi di pensieri e di emozioni. Il risultato è felicità, pace, freschezza. L’ultimo tempo, Allegro, riprende lo slancio appassionato del primo. Ma viene dopo un Andante grumoso, contemplativo come può esserlo Brahms: commosso e grandiosamente semplice. È lui, Brahms, meno autoritario di Beethoven e più sottile, ombroso, romantico nei passaggi raffinatissimi di sonorità, di colori, di ritmo che dicono la musica ”dietro” e ”sotto” le note. È una sinfonia di pace, composta nell’estate del 1883 in vacanza.
Poi c’è la Quarta e ultima sinfonia del Grande, eseguita la prima volta nel 1885. A molti, anche amici, non piacque. Li disorientava. Forse perchè questa musica è, coscientemente o meno, la fine di un mondo, di un sogno, se si vuole. L’Allegro ma non troppo iniziale con le frasi slanciate degli archi suona invocazione, ascesa e tristezza insieme. L’intera sinfonia è nient’altro che l’anima di Brahms e l’anima di una epoca – una fin de siècle – anche musicale. Dopo, ci sarà Mahler con le sue gigantesche inquietudini, i mosaici tra passato e futuro con rare gioie, il nervosismo inquieto.
Brahms non è nervoso. Malinconico certo, ma pure virile, non emotivamente troppo fragile, non ha flessuosità decadentistiche alla Richard Strauss. La Quarta è una sinfonia che non ha programma, non vuole parole, perché non ha parole: è musica e solo musica. È una sinfonia “muta”. Sta agli interpreti cavar fuori il sentimento che la muove, puro e ombroso nello stesso tempo, ma sempre tendente alla luce. Autunnale in certi momenti, ma sempre luce. Quella non di un addio, ma di un arrivederci in una partitura luminosa oltre le tristezze balenanti qua e là.
La Quarta è un mondo. Chung, che ha diretto la Terza quasi impassibile, si scatena nella Quarta insieme all’orchestra palpitante – è il caso di dirlo –, estroversa, dal suono purissimo. Il pubblico – molti giovani e giovanissimi – è in delirio perché siamo dentro la Musica, che non ha bisogno di cose, ma di essere sé stessa. Viene la necessità poi, di riascoltare questa edizione, come pure l’altra, mirabile, diretta da Carlos Kleiber.
__