Le periferie oltre gli stereotipi

Nelle sale è uscito Cuori puri di Roberto De Paolis, di grande successo a Cannes: un film che sa rappresentare realisticamente la periferia romana senza condannare i personaggi alla sconfitta e al dolore. Aprendo anche la questione della presenza del cattolicesimo nel mondo del cinema
Un'immagine del film (foto: Wikipedia)

C’è un bel film italiano, nelle sale, in questi giorni di quasi estate. Viene da Cannes, dove ha guadagnato più applausi e complimenti di tutti gli altri prodotti nazionali presentati alla Croisette messi insieme. Parla di periferia romana (Tor Sapienza, tra campi rom e asfalto incandescente), di lotta tra poveri e di istituzioni fantasma, ma anche di sentimenti tra giovani senza posto fisso né chiare prospettive per il domani. La cosa importante, però, l’aspetto più prezioso del film, è il sguardo profondo sulle cose ed il suo stile asciutto ma pieno di forza espressiva. Si tratta di un’opera prima, realista più che neorealista: nel senso che non condanna i personaggi alla sconfitta e al dolore, non li schiaccia solo perché sono nati nel posto sbagliato, solo perché sono venuti su a pane e quasi niente, ma offre loro speranza ed energia da spendere ogni giorno. La pellicola non nasconde i problemi, ne mette in mostra diversi, ma ricorda che chiunque di noi possiede materiale in abbondanza per giocarsela alla grande in un mondo senza dubbio complesso.

Si intitola Cuori puri, ed è una sapiente mescolanza di immagini e parole, è una scultura di personaggi che spingono via lo spettro dello stereotipo e sanno arrivare alla pancia di chi guarda. È l’ennesimo film sugli spazi marginali delle nostre città, su quei milioni di giovani non fortunati che debbono sudarsi ogni metro di futuro; e se qualcuno potrebbe dire “basta, non se ne può più di pellicole che sfruttano i problemi delle nuove, povere generazioni”, dovrebbe anche ammettere, se conoscesse il nostro cinema, che le storie più interessanti, i film più veri ed emozionanti di questo tempo disordinato e arido, arrivano proprio dalla miscela tra giovani e contesti socioculturali svantaggiati. Potremmo citare, tra i tanti, Fiore di Claudio Giovannesi, quel Sole, cuore, amore di Daniele Vicari che fino a poche settimane fa era ancora nelle sale ma anche Indivisibili di Edoardo De Angelis, o Piuma di Roan Johnson, persino Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, ambientato tutto a Tor Bella Monaca. Film molto diversi tra loro, ma capaci tutti insieme di raccontare il contrasto tra degrado reale e bellezza potenziale, tra miseria e grandezza dell’essere umano.

Cuori puri, però, diretto dal bravo Roberto de Paolis, tocca anche un altro tema delicato, e cioè quello della fede. Agnese, la protagonista femminile del film, ha fatto voto di castità, ed ha deciso di rimanere vergine fino al matrimonio. Lo ha fatto, probabilmente, più per assecondare una madre ossessionata dalla religione che per una sua scelta matura e consapevole. Il cattolicesimo di sua madre la stringe, non la libera, non la solleva né l’alleggerisce; e nemmeno il sacerdote della sua parrocchia – che, per carità, non dice cose sbagliate – le fa respirare la vera bellezza del cristianesimo, il grande sostegno che questo può offrire ad ogni generazione di questo tempo faticoso.

E qui si apre la questione della rappresentazione del cattolico al cinema, nei film non solo italiani. Spesso vengono mostrati personaggi e contesti di arretratezza e grettezza, figure bigotte o invasate; sacerdoti a volte stanchi o rassegnati, spesso soli, quando non completamente privi delle caratteristiche fondamentali per essere un buon prete. Dai bellocchiani Lora di religione e Bella addormentata, a Corpo celeste della brava Alice Rohrwacher (che con questo film, nel 2011, raccontava un contesto parrocchiale fatto di ignoranza e di piccoli interessi personali), non assistiamo certo ad una propaganda pro-cattolicesimo; mentre sono pochi i film che sanno raccontare la bellezza della fede cristiana senza passare per i grandi santi del passato, o per le biografie dei già popolari sacerdoti del 900. Ecco, allora che un piccolo ma riuscito film nostrano, un leggero ma efficace lavoro come Se Dio vuole di Edoardo Falcone, risolleva un minimo il morale di quei credenti normalissimi e aperti alla vita e al prossimo che nella maggior parte dei casi non si riconoscono nei personaggi e nelle storie di fede raccontate sul grande schermo. Chiusa questa non trascurabile parentesi, Cuori puri di Roberto De Paolis, è un film da non perdere.

 

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