Le passioni di Gluck
Il bel mondo di Gluck che rivisita il mito di Ifigenia, destinata all’immolazione dal padre Agamennone per propiziarsi il viaggio favorevole a Troia, dice ancora qualcosa ai disamorati ascoltatori del secolo ventunesimo? L’allestimento di Yannis Kokkos mira ad una stilizzata rivisitazione del mondo antico, fra classicità ed essenzialità moderna, con bianchi e blu squillanti, luci fredde, sull’ampio proscenio dove si muovono ordinatamente le masse e i protagonisti.
Una tragedia si sta rappresentando: la ragione di stato sorretta dalla religione esige una vittima innocente. La musica segue il percorso contrastato tra i sentimenti paterni e filiali e il fanatismo della folla, espressa dalla melodia mobilissima di Gluck. Essa mai si piega ai virtuosismi inutili, canta con le voci e l’orchestra come un flusso continuo di accenti austeri, che raccontano questa triste storia: ma, come d’uso, finisce bene. La dea Diana trasporterà nel suo regno la ragazza e darà la grazia al padre coraggioso (e disperato).
Gluck scava, con la nobiltà che gli è propria, dentro i sentimenti. Di qui, gli ariosi commoventi di un Agamennone straziato, le lacrime di una Ifigenia costretta alla morte, l’insensibilità della massa. Sino al finale wagneriano – riscritto infatti dal musicista tedesco – in cui la catarsi, grazie all’intervento divino, assume il tono del trionfo. Non pare un melodramma settecentesco, questo di Gluck, la cui essenzialità è quanto mai moderna, come i colori algidi, eppure pastosi dell’orchestra. Riccardo Muti, certo, vi si trova a suo agio, lavora di cesello. Si osservi l’avvio dell’opera, con il sussulto agitato degli archi gravi, i colori lamentosi dell’oboe o le strida dei violini, le ansie sospirose dei legni, e si avrà l’idea di una interpretazione perfetta come il nitore della scenografia, in cui viene collocata – e frenata – tutta la concentrata passionalità di Muti- Gluck.
Insieme al coro e all’orchestra, splendidi, emergono Ale xey Tikhomirov (Agamennone) e Krassimira Stoyanova (Ifigenia), grandi interpreti (peccato, nessun italiano…). Ifigenia in Aulide è realmente molto bella. Va riascoltata, nelle incisioni dirette da Böhm, 1962, e da Gardiner, 1987.