Le parole silenziose di Falcone

Nelle polemiche sulla partecipazione dell'anniversario della strage di Capaci emerge la sua figura di uomo di Stato. La sua vita, un monito, ancor prima della morte. Una testimonianza che "parla" ai giovani.

Le polemiche non hanno rubato la scena a Giovanni Falcone. Nel bailamme delle celebrazioni dedicate alla sua memoria è emersa più forte la figura e la personalità di Giovanni Falcone. Uomo delle istituzioni, sempre, nonostante tutto.

L’anniversario della strage di Capaci cadeva quest’anno a ridosso delle elezioni. Troppo forte il richiamo delle urne per fare da argine alle tentazioni degli esponenti politici: la presenza di Salvini, l’assenza (non chiaramente motivata) del governatore Nello Musumeci, la diserzione (compiutamente motivata) di Claudio Fava e Leoluca Orlando. Il sindaco più eletto d’Italia (cinque mandati) e il presidente della Commissione regionale antimafia non hanno presenziato alla cerimonia nell’aula bunker dell’Ucciardone.

Orlando ha spiegato di non voler essere al fianco di un ministro degli Interni che appena pochi giorni prima aveva attaccato i magistrati siciliani.

C’è anche chi nell’aula bunker ha scelto di esserci. A partire dalla sorella, Maria Falcone, che ha chiesto di lasciare le polemiche elettorali fuori da questa celebrazione, da don Luigi Ciotti, che ha scelto di partecipare e che ha detto di temere la strumentalizzazione della legalità.

Salvini ha ribadito di volere «essere a Palermo con orgoglio e gioia, non per chiedere voti» e ha definito le assenze «non un’offesa a me ma alla memoria di Giovanni Falcone e di tutte le eroiche vittime della mafia». Ma è passato appena un mese da quel giorno in cui lo stesso ministro dell’Interno aveva disertato le celebrazioni ufficiali del 25 aprile a Corleone, parlando di mafia e non di liberazione.

I valori hanno sempre un nome e non possono essere confusi con altri. O vissuti “a scambio”.

Chi non c’è stato ha dato le sue ragioni. Che vuole essere di contestazione dura a una presunta strumentalizzazione elettorale. Ma le strumentalizzazioni, a pochi giorni dal voto, corrono su più binari.

Maria Falcone non ha gradito. Il suo richiamo all’unità nazionale e ai valori su cui non dividersi è stato forte. «Da 27 anni l’anniversario della strage di Capaci simboleggia l’unità della nazione nella lotta alle mafie e nella difesa della democrazia, della libertà e della legalità. Il 23 maggio si rende onore non solo a mio fratello Giovanni, a sua moglie Francesca Morvillo, a Paolo Borsellino e agli eroici agenti delle scorte, ma anche a tutti gli altri uomini e donne delle istituzioni che hanno sacrificato le loro vite per tutti noi. Il mio augurio è che nessuna polemica sporchi le celebrazioni in ricordo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio».

Non l’hanno ascoltata. Ma nelle tante frasi di questi giorni, spiccano le parole silenziose di Giovanni Falcone. La sua vita, un monito, ancor prima della morte. Lo Stato che scelse di servire, sapendo che avrebbe pagato un prezzo e che avrebbe trovato la morte, non fu tenero con lui. Gli preferì Antonino Meli alla guida della procura di Palermo, gli impedì di continuare il suo lavoro antimafia, sciorinò dubbi sulla sua proposta della Procura nazionale antimafia (che, per la verità, senza i necessari correttivi, avrebbe potuto compromettere l’indipendenza della magistratura), infine gli rese difficili anche gli ultimi giorni a Roma, al vertice dell’Ufficio Affari penali del ministero della Giustizia.

Falcone non attaccò mai lo Stato, né gli uomini dello Stato. Anche se le sue inchieste si spinsero fino a toccare il cosidetto “terzo livello” che probabilmente gli costò la vita. Egli sapeva che le divisioni favoriscono la criminalità, la rendono più forte e indeboliscono chi fa argine al malaffare.

Nel “bailamme” elettorale, il suo silenzio, quello odierno (perché non c’è più) e quello di 27 anni fa, parla più di mille parole.

Lui, uomo delle istituzioni, fu sempre un servitore dello Stato. Piangente, a volte ferito (come quando un clima di sospetti e di veleni si stese attorno al fallito attentato dell’Addaura), mai piegato. Morto, il corpo dilaniato, ma un monito che rimane. E che i giovani, i tanti giovani dell’Ucciardone e della “Nave della Legalità” hanno raccolto. Il futuro appartiene a loro. Che sapranno essere italiani e uomini dello Stato. Come Falcone. Come Paolo Borsellino. Come gli agenti trucidati e le mille vittime della mafia.

Nel “bailamme” delle polemiche Giovanni Falcone ha “parlato” soprattutto a loro.

 

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