Le parole giuste per uscire dalla crisi
Come scrivere il giusto discorso da pronunciare per risollevare le sorti del Paese?
La situazione è grave, più che grave. Lo sappiamo. Mercoledì il primo ministro presenterà al Senato le misure per cercare di uscire dalla crisi del debito pubblico e resistere così agli attacchi speculativi. Per questo osiamo indirizzare al premier qualche suggerimento per il suo discorso:
«In questo momento bisogna davvero dire la verità, tutta la verità, con sincerità e coraggio. Non ci si può esimere dall’affrontare con onestà la situazione del Paese. Questa grande nazione resisterà come ha sempre fatto, si riprenderà e tornerà a essere fiorente. In ogni momento buio della nostra storia nazionale una leadership onesta ed energica ha potuto contare sulla comprensione e il supporto del popolo, che sono indispensabili per la ripresa. Sono certo che anche in questi giorni difficili voi le garantirete il vostro sostegno».
E magari proseguiremmo: «È con questo spirito che noi tutti – io e voi – affrontiamo le nostre comuni difficoltà. Grazie a Dio riguardano solo beni materiali: le quotazioni sono precipitate a livelli impressionanti; le tasse sono cresciute; sono crollate le nostre possibilità di pagamento; l’amministrazione statale e quelle locali sono alle prese con una forte diminuzione delle entrate; c’è stato un congelamento delle possibilità di scambi commerciali internazionali; le iniziative imprenditoriali giacciono ovunque a terra come foglie secche».
Continuando così (ma forse osiamo troppo): «Ancor più gravi sono le condizioni di una moltitudine di cittadini disoccupati alle prese con il problema spaventoso della sopravvivenza, mentre altrettante persone lavorano duramente per pochi spiccioli. Solo un folle ottimista può negare la cupa realtà del momento».
Con un attacco profondo: «La condotta degli speculatori senza scrupoli è ora di fronte al giudizio dell’opinione pubblica e alla ripulsa dei cuori e della ragione degli uomini. Gli speculatori sono fuggiti dagli alti scranni del tempio della nostra civiltà.
Oggi noi dobbiamo riportare il culto delle antiche verità al tempio. Questa operazione riuscirà nella misura in cui sapremo applicare valori morali più nobili del mero profitto economico».
Poi proporremmo di allargare gli orizzonti e di alzare lo sguardo: «Riconoscendo quanto sia sbagliato usare il benessere materiale come standard per misurare il successo, si supera la falsa credenza che porta a valutare gli incarichi pubblici e le massime cariche politiche solo in termini di prestigio e di profitto personale». Sottolineando poi che «c’è poco da stupirsi se la fiducia scarseggia, poiché essa si nutre di correttezza, onore, rispetto degli impegni, protezione leale, azioni disinteressate e senza tali presupposti non può sopravvivere. Il ristabilimento di un clima di fiducia non richiede però solo cambiamenti nella sfera etica. Questa nazione vuole azione e la vuole ora».
Quindi verrebbe il programma: «Il nostro obiettivo più importante è quello di far tornare la gente a lavorare. Sarà d’aiuto lo sforzo congiunto delle amministrazioni federale, statali e locali per una riduzione drastica delle loro spese. Sarà d’aiuto accorpare le attività di soccorso che oggi si conducono spesso in maniera frammentata, antieconomica e disomogenea. Sarà d’aiuto un piano nazionale di controllo di tutti i mezzi di trasporto e di comunicazione e degli altri servizi che sono davvero di pubblica utilità. Ci sono molti modi in cui si può aiutare questo processo, ma certo le parole non sono tra questi. Dobbiamo agire e dobbiamo farlo subito».
E in conclusione faremmo presente: «In questo sforzo per il rilancio dell’occupazione dobbiamo infine poter contare su due forme di tutela che ci difendono dalla restaurazione dei mali del vecchio ordine. Abbiamo bisogno di una severa azione di controllo su tutte le attività bancarie, creditizie e di investimento, per porre fine alle speculazioni fatte con denaro altrui, e dobbiamo prendere provvedimenti per avere una valuta solida e adeguata alle nostre esigenze».
p.s. Ci perdonino lettori e premier. Quanto letto non è farina del nostro sacco. Il discorso proposto è già stato pronunciato, esattamente il 4 marzo 1933 da Franklin Delano Roosevelt, nel giorno del suo insediamento come presidente degli Stati Uniti d’America. Il testo è stato recentemente ripubblicato da Add Editore