Le parole come pistolettate

Lascia perplessi l’escalation di violenza verbale registrata in occasione del grave atto criminale di Milano, dove un giovane ghanese ha ucciso con un piccone tre passanti
A Milano persone uccise a picconate dal ghanese Kobobo

«Io gli avrei sparato con la mia pistola, immediatamente. Basta sparare alle gambe per farlo smettere di dare picconate alla gente. Avrei sparato alle gambe e poi addosso… Ho una pistola Luger Lcr».
Piero Longo, avvocato e deputato

«Il sindaco sta prendendo sotto gamba, come suo solito, l'emergenza sicurezza. Piaccia o non piaccia al sindaco, a Milano le ronde ci saranno, eccome».
Massimiliano Bastoni, consigliere comunale leghista a Milano

«Quanti sono i Kabobo d'Italia? Centinaia? Migliaia? Dove vivono? Non lo sa nessuno».
Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle

Sono parole pronunciate ieri, 16 maggio 2013, non il 16 maggio 1973, alba degli anni di piombo! Riguardano il caso del ghanese Kobobo, che ha ammazzato a picconate tre persone inermi all’alba dell’11 maggio scorso in una Milano immobilizzata dalla paura.

Eppure fanno pensare a quanto è successo all’indomani della stagione delle dichiarazioni violente e “solo” verbalmente armate dei movimenti studenteschi dell’epoca: fanno cioè pensare alla drammatica stagione del terrorismo, che è cresciuta nella palude della violenza verbale, arrivando fino alla violenza fisica e militarizzata.

La violenza verbale, se incontrollata, se supera il livello di guardia, passa ai gesti e apre scenari d’Apocalisse. Non è un caso se già si nota una recrudescenza dei delitti a mano armata di ogni genere, passionali o di interesse economico: l’atmosfera è così morbosamente violenta nelle sue espressioni verbali, che c’è da temere il peggio per il futuro.

Anche il presidente Napolitano ha messo recentemente in guardia, al Senato, contro i linguaggi pericolosi: «Bisogna fermare la violenza prima che si trasformi in eversione. In questo momento non possiamo essere tranquilli davanti a esternazioni anche solo sul piano verbale o sul piano della propaganda politica». Come non dargli ragione?

Riteniamo che questa situazione e questi eccessi verbali debbano essere denunciati a gran voce, perché la responsabilità di ognuno eviti il deflagrare di proteste che superino il livello della civile contestazione. Agendo con responsabilità, ognuno al proprio livello: al livello di polizia, perché Kobobo, al di là del colore della pelle, era un delinquente che non doveva circolare liberamente sulle strade di Milano; al livello politico, con l’elaborazione di misure adeguate per evitare simili disastri; anche a livello di semplici cittadini, perché il 113 doveva essere chiamato ben prima di quanto non sia avvenuto. Ma la responsabilità è richiesta in primo luogo a coloro che gestiscono la cosa pubblica, agli uomini e alle donne che influenzano l’opinione pubblica: se la grave situazione sociale ed economica conoscerà una mutazione genetica tale da diventare movimento violento, la responsabilità sarà anche di chi istiga alla violenza usando violenza verbale.

Scriveva Claudio Magris nel 2001, all’indomani della tragedia del G8 di Genova: «Senza capacità logica non c’è democrazia… il ribellismo è una pappa del cuore modellabile a piacere… non ci si può assuefare a nessuna violenza». Nemmeno verbale.

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