“Le parole che tu hai dato a me io le ho date a loro”
Il messaggio indirizzato ai partecipanti del convegno sulla pastorale giovanile, organizzato dal Movimento dei religiosi (1999). Un contributo alla riflessione sull'emergenza educativa.
«Carissimi religiosi,
“Le parole che tu hai dato a me io le ho date a loro” (Gv 17, 8).
Questa frase del Vangelo di Giovanni, letta nel contesto del presente congresso, richiama i carismi di cui loro religiosi sono portatori.
Ogni carisma è infatti una “parola”, in genere del Vangelo, detta dallo Spirito Santo al fondatore. Questi l’ha trasmessa loro. E ora loro, condividendo la sua “esperienza dello Spirito”, sono chiamati, a loro volta, a donare a tutti, in modo particolare alle nuove generazioni, il dono che hanno ricevuto.
Ma cos’è la parola di Dio?
Ricordo che un giorno la risposta mi è arrivata chiara, lampante, leggendo sul Vangelo queste parole: “Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato”. Leggendo questo brano, avevo l’impressione nel più profondo dell’anima che le frasi: “la tua parola”, “tutte le cose che mi hai dato”, “le parole che tu hai dato a me”, “io sono uscito da te” fossero, in certo modo, sinonimi, e cioè che le parole dette da Gesù fossero lui stesso, il Verbo pronunciato ab aeterno dal Padre.
Mi è parsa allora una scoperta inebriante e ho voluto averne conferma dal commento che ne fa Agostino, Padre della Chiesa. Eccolo: “Tutto quanto ha dato il Padre al Figlio l’ha dato nel generarlo… In quale altro modo il Padre avrebbe potuto dare al suo Verbo qualche parola, dato che nel Verbo il Padre ha detto tutto in maniera ineffabile?”[2]. Si era dunque all’unisono con sant’Agostino.
In ognuno dei loro carismi è quindi presente, in certo modo, il Verbo stesso di Dio. È Dio che è stato dato loro, ed è Dio che devono testimoniare e comunicare a loro volta.
Mi è stato benevolmente chiesto di condividere oggi con loro la mia esperienza su come ho donato ai giovani la parola che Dio ha dato a me, perché – come sanno – anche a me è stata donata una “parola” del Vangelo.
Il Movimento dei Focolari infatti è – così è stato definito – “una polla d’acqua viva sgorgata dal Vangelo”. Ed è stato proprio mentre noi, all’inizio, credevamo di vivere semplicemente il Vangelo, il Vangelo di sempre, il Vangelo di tutti, che inavvertitamente Dio andava sottolineando nel nostro cuore alcune “parole” che dovevano diventare “le idee-forza” della nostra spiritualità e che potremmo sintetizzare nella parola “unità”. Essa, la scoprimmo poi chiave di lettura dell’intero Vangelo. Parola che fin dall’inizio mi sono sentita spinta a condividere con tutti.
E, da allora, ovunque ho narrato costantemente questa mia esperienza. L’ho narrata a cattolici e a cristiani di diverse Chiese, anche ai musulmani, ai buddisti, agli ebrei, ed ovunque ho avvertito che, attraverso il racconto di quest’esperienza vissuta, passava la parola che Dio ha dato a me, “unità”, anzi, essa creava unità.
Ma, in particolare, come avvenne la trasmissione della parola “unità” alle nuove generazioni?
Come era avvenuto all’inizio, quando comunicavo tutto alle mie prime compagne, così, ad un dato momento, 25 anni dopo ho avvertito il bisogno di comunicare ogni cosa alle nuove generazioni di giovani.
Consegnai – ricordo – ai giovani un trofeo in cui era raffigurato un adulto e un giovane che correvano a fianco con in mano la stessa bandiera.
Tanti anni fa – spiegavo loro – ho visto, con la fantasia, una figura partire con una bandiera con la scritta: ut omnes unum sint e girare il mondo. Era il Movimento dei Focolari.
Ora, accanto a questo adulto, si è aggiunto un giovanetto con una bandiera identica e lo stesso motto: “Che tutti siano uno”. Adesso corrono in due. Verrà il momento in cui l’adulto compirà la sua corsa e il giovanetto, diventato adulto, correrà finché un altro bambinetto, diventato giovane, gli si accosterà con la stessa bandiera. Finché tutti saranno uno.
Vedendo quindi nei giovani coloro che condividevano il nostro stesso ideale e che avrebbero continuato la nostra corsa verso l’ut omnes, li abbiamo sempre posti in grande rilievo, considerandoli alla stregua degli adulti. Non solo.
Fin dall’inizio abbiamo avvertito con loro un rapporto che non esiterei a definire trinitario. Costatavamo nella nostra generazione di adulti – la prima generazione del Movimento – tutto il peso, il valore dell’incarnazione e della concretezza del nostro Ideale.
Nella generazione dei giovani invece – la seconda generazione – tutta l’idealità, l’autenticità, la forza rivoluzionaria, la certezza della vittoria.
Se la prima generazione ci sembrava a mo’ del Padre, la seconda ne era la “bellezza”, lo splendore e quindi a mo’ del Figlio, Verbo del Padre. E tra le due un rapporto di amore reciproco, quasi una corrente di Spirito Santo che dà al mondo una grande testimonianza.
Una volta poi che la seconda generazione ha fatto proprio il nostro ideale dell’unità, si è assunta il compito di trasmetterlo a tutti i giovani del mondo.
Il Movimento Gen (Generazione Nuova) – si diceva – deve arrivare a tutta la gioventù del mondo. I gen devono essere nascosti nella massa per amarla, servirla, per trasfondere lo spirito.
Dal Movimento Gen è nato così un Movimento a largo raggio, Gioventù Nuova, a cui si dà, poco a poco, la nostra vita tutta intera, così come Dio ce l’ha data.
E lo strumento migliore per agire sui giovani – ho detto un giorno ai gen – siete voi giovani: la vostra adesione a Cristo è la strada per portare il nostro Ideale ai giovani. I giovani dunque per i giovani!
E come venne nutrito il Movimento Gen?
All’inizio di esso, in uno dei primi congressi internazionali, mi sembrava che Gesù volesse che io ripetessi loro una “parola”, risuonata come uno squillo di tromba 25 anni prima e riscoperta, quasi una ri-rivelazione operata dal carisma: Dio, che è amore.
E anche oggi la parola che ripeto è proprio questa: Dio. Dio che va messo in cima ai loro pensieri, al centro del loro cuore; Dio come ideale di vita, di fronte ad altri ideali che, presto o tardi, vengono meno.
Non si ha altra particolare pedagogia con i giovani se non quella che discende, come corso d’acqua dalla sorgente, da questa grandissima realtà: Dio Amore. E i giovani credono a questo infinito e immenso Amore. Capiscono che devono corrispondere e la nostra esperienza è che lo sanno fare. Diventano piccoli soli accanto al Sole, amore accanto all’Amore. Imparano ad amare, in senso vero, in senso pieno, in modo soprannaturale e profondamente umano.
Come? Con la carta vincente, che è – così la chiamiamo – l’“arte di amare, con le sue esigenze principali:
L’amore vero ama per primo.
L’amore vero ama l’altro come se stesso.
L’amore vero è quello che sa farsi uno, con la persona amata, concretamente.
L’amore vero vede Gesù in ogni prossimo.
L’amore vero ama l’amico ma anche il nemico.
Ma, se i giovani amano gli altri giovani e si interessano alle cose loro, viene in genere il giorno in cui gli altri rimangono toccati, impressionati e faranno tante domande. E impareranno così ad amare anch’essi.
Conseguenza?
Fiorisce, come si sa, l’amore reciproco, forte, costante, sempre rimesso in atto, secondo la misura del comandamento nuovo di Gesù: “Amatevi a vicenda come io vi ho amato” (cf. Gv 13, 34). Ed ecco allora rinnovarsi il fenomeno noto fra i primi cristiani. Altri giovani ancora s’avvicineranno e diranno di loro: “Guarda come si amano e l’un per l’altro è pronto a morire”[3]. E a quell’esempio non rimarranno indifferenti.
Nel Movimento Gen, poi, si pone un accento particolare su Gesù presente anche fra loro: “Dove sono due o tre – anche giovani – riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). E con Gesù fra loro essi diventano forti, capaci veramente di incidere nel mondo dei giovani, e di conquistarli.
Un’esperienza poi amata dai giovani in particolare è quella con la Parola di vita, come la vivevamo noi, prime focolarine.
Vivono queste parole e si comunicano poi le loro esperienze per il progresso spirituale di tutti. E in tal modo si rievangelizzano. Così si dà loro pian piano tutta la spiritualità dell’unità che fa di loro “giovani nuovi”.
Ma i giovani non vivono soltanto la spiritualità, ma la sanno dare a piene mani, usando anche dei mezzi più moderni. Inoltre per loro l’amare e il parlare vanno sempre accompagnati da azioni e opere concrete, perché essi hanno bisogno di “fare” concretamente, di vivere in ambienti nei quali possano verificare la loro nuova vita. Per questo cominciano, in genere, dai poveri, dagli ultimi, dai più soli, dai sofferenti…, così come donano le loro energie per alleviare chi è colpito da catastrofi naturali o da ogni altra sventura. Cominciano – come dicono loro – a voler “morire per la propria gente”.
Questa la mia esperienza con i giovani.
Ma anche al loro fondatore, ricordavo all’inizio, è stata donata una “parola” del Vangelo attraverso un particolare carisma. Se loro sono qui è perché lui ha saputo trasmettere loro la sua “parola”. Loro, a loro volta, sono chiamati a trasmettere il dono ricevuto. Infatti ogni carisma è per la Chiesa, per tutta la Chiesa, e quindi la loro “parola” va donata a tutti.
A contatto con il Movimento dei Focolari molti religiosi, spesso, hanno scoperto in maniera nuova la “parola” che lo Spirito Santo aveva seminato in loro.
La spiritualità dell’unità li ha portati nel cuore stesso del Vangelo, mostrando come sotto ogni parola del Vangelo c’è – come ho già detto – tutto il Verbo di Dio. E, se Dio è Amore, ogni sua parola è carità.
I religiosi che aderiscono all’Opera di Maria hanno scoperto sotto ogni “parola” la carità; hanno compreso come il loro carisma è un’espressione della carità, il più grande dei carismi, che informa ogni altro carisma.
Ecco allora la loro possibilità, non solo di vivere in pienezza il dono ricevuto, ma anche di comunicarlo in modo nuovo e attraente, rispondente alle attese dei giovani di oggi.
Ognuna delle loro Famiglie religiose, lungo i secoli, ha visto nascere attorno a sé differenti Movimenti di laici che si sono sentiti chiamati a condividerne il carisma. Ancora oggi assistiamo al rifiorire degli antichi terz’ordini e al sorgere di nuove forme di aggregazioni…
In particolare nascono attorno a loro dei Movimenti giovanili: giovani che li seguono nel loro lavoro di evangelizzazione, nel servizio dei poveri, nell’educazione…
Si sentono attratti dal loro modo di seguire Gesù, dalle parole evangeliche che vedono vissute da loro grazie al particolare carisma. Anche ad essi devono dare le “parole” che lo Spirito Santo ha trasmesso a loro nel fondatore.
Questo loro congresso vuole essere un momento di comunione e di scambio di esperienze proprio in questo campo, in modo da cogliere la vita che già c’è nelle loro comunità e nello stesso tempo per andare avanti con nuova luce e nuovo slancio.
Che Gesù in mezzo a tutti, li illumini.
Vorrei concludere ricordando una domanda che spesso viene rivolta a me da quanti, vedendo le tantissime persone che seguono il Movimento, chiedono: “Ma come fai a seguirle tutte?”
Io oso rispondere: “Nella mia vita non seguo le persone; seguo Dio e gli altri mi vengono dietro”.
Anche a loro vorrei suggerire: lavorino, lavorino pure per i giovani, ma soprattutto seguano Dio sempre, con tensione accelerata verso la santità. È lui stesso che poi dirà loro come muoversi.
È questo, penso, il metodo infallibile».
[1] Pubblicato in Unità e Carismi 3-4 (1999) 8-11.
[2] Cit. in Parola di vita, Città Nuova, Roma 1975, 1993, pp. 11-12.
[3] Tertulliano, Apologetico 39,7.