Le opere del Musée d’Orsay a Roma

Esposti al Vittoriano una sessantina di dipinti provenienti dal celebre museo lungo la Senna. Un cammino nell'arte europea dal secondo Ottocento ai primi decenni del ventesimo secolo. Tanti i capolavori su cui soffermarsi
Paul Gauguin

Parigi si trasferisce a Roma, cioè una sessantina di dipinti del celebre Museo lungo le rive della Senna vengono nella capitale italiana fino all’8 giugno. L’occasione è ghiotta. Vedere l’uno dopo l’altro Corot e Pissarro, Van Gogh e Cézanne, Manet e Monet, Degas e Sisley, Signac e Gauguin – solo per fare i nomi più celebri – è qualcosa che può far perdere la testa a qualcuno troppo sensibile: può incappare appunto nella famosa “sindrome di Stendhal”.

L’esposizione al Vittoriano è ben curata e provoca una serena soddisfazione nel visitatore, perché permette di compiere un cammino progressivo nell’arte europea – di nascita francese – dal secondo Ottocento ai primi anni del ventesimo secolo.

Si inizia con l’arte dei Salon, nucleo originario della collezione, sontuosi nudi femminili accademici posti in contrasto con il realismo di un’altra corrente, all’epoca disprezzata, ma che poi si afferma verso il 1870 con la pittura di Courbet. Si passa poi allo studio impressionista della luce ed ecco sfilare le opere di Millet, di Tryon, di Sisley, Pissarro, Cézanne e Monet. La luce è la regina nelle sue costanti, ininterrotte pulsazioni e variazioni nel giorno.

Questi pittori vorrebbero essere realisti e il punto di partenza è la descrizione dei fenomeni naturali così come a loro appaiono, ma, involontariamente – per fortuna, per noi – finiscono per diventare dei poeti della luce che fa lievitare ogni cosa rappresentata. Osservare Sisley e il suo "Temps de neige" (Tempo di neve) dove il bianco-azzurro del pennello ci fa calpestare la terra bianca sino a sentirne il passo soffice; il "Cortile di una fattoria" di Cézanne, con quelle tinte bruciate e calde dell’estate; la sublime visione di Argenteuil di Monet, chiara come un pastello, contemplazione assoluta di un borgo che diventa  nell’artista specchio del mondo.

La terza sezione si apre con la rappresentazione della vita contemporanea. Pissarro guarda la Senna e il Louvre, Monet gli scaricatori di carbone, Degas ci rappresenta le sue trasfigurate ballerine e Manet ci offre nel ritratto di Berthe Morisot una immagine di una donna piacente e sfuggente, calda e algida col mazzo di violette, pennellate in colpi rapidi e ricchi, mentre Renoir vede due ragazze al pianoforte nei colori rossi e verdi a lui consueti, così “carnali”.

Ed infine, ci si inoltra verso le avanguardie del secolo ventesimo. Ancora il vecchio Monet che dipinge Vétheuil al tramonto nel 1900 e il suo giardino fiorito di ibis viola, una cascata di colore e di luce indistinta, una estasi cromatica ormai, il realismo è morto e sepolto. Ecco il tratteggio pulsante di Signac, l’Italienne nei colori soffocati di van Gogh e il "Circo" di Seurat, oscillazione del segno e del colore che  è già pre-astrattismo. Fino al Gauguin de "Il pasto", visione polinesiana arcaica dalle tinte torride, che, fra non molto, arriveranno alle tele “scolpite” di un Picasso. Una mostra tutta da vedere, con calma, perché i capolavori sono davvero molti.

Catalogo Skira.

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