Le nuove rotte dei migranti
La settimana scorsa un motoscafo con 15 migranti clandestini è affondato al largo di Demre, all’estremità occidentale del golfo di Antalya, in Turchia. Sono morte 9 persone, fra loro 6 erano bambini. Non si sa dove si fossero imbarcati né dove fossero diretti: probabilmente puntavano ad una piccola isola, a 3 Km al largo della cittadina turca di Kas, ma in territorio greco, quindi europeo.
Quell’isoletta adesso si chiama Kastellorizo o Megisti, ma fino a 75 anni fa noi la chiamavamo Castelrosso e faceva parte del Dodecanneso italiano. Il protagonista del film di Gabriele Salvatores “Mediterraneo”, premio Oscar 1992, la cita così: «Ci stavano mandando in missione a Megisti, un’isola sperduta dell’Egeo, la più piccola, la più lontana. Importanza strategica: zero».
Eppure per quei bambini e per gli altri che sono morti, l’importanza strategica di Megisti era così alta che per raggiungerla hanno rischiato la vita e l’hanno persa, per la speranza di arrivare in Europa. Una grande speranza, dato che ciascuno di loro potrebbe aver pagato agli scafisti una cifra intorno ai mille dollari, chissà a che prezzo racimolati!
È soprattutto dal 2015 che migliaia di profughi, siriani e non solo, tentano questa via della speranza (nel 2015 furono intorno a 840 mila). I più sono già profughi in Turchia o arrivano dal Libano con un visto “turistico”. Sono circa 6 milioni i profughi siriani fuggiti dalla morsa della guerra. Di essi, oltre l’83% non è andato lontano: sono parcheggiati in altri paesi del Medio Oriente: Libano, Giordania, Iraq, Arabia, Egitto, ma quasi la metà (circa 3 milioni) stanno in Turchia. Quelli che hanno raggiunto l’Europa rappresentano solo il 13%, molto pochi quindi, anche considerando che 3 paesi da soli (Serbia, Germania e Svezia) ne accolgono oltre il 10%. In ciascuno degli altri Paesi del vecchio continente quelli arrivati sono ben al di sotto dell’1%, Italia compresa.
Certo non tutti i rifugiati e i profughi vogliono abbandonare per sempre il loro Paese, ma non aspirano neppure a restare per decenni nei campi profughi o a sopravvivere in precarie situazioni di fortuna, per non parlare del lavoro che non c’è o è veramente sottopagato. In questo senso hanno un esempio negativo ben chiaro davanti agli occhi: i palestinesi fuggiti 70 anni fa dalla loro terra e ancora sorvegliati a vista nei campi. Erano 800 mila nel 1948, oggi con i loro figli, nipoti e pronipoti sono 5 milioni: sempre sparsi ovunque, senza o con scarsi diritti e in situazioni quasi sempre precarie, spinti dalle circostanze o dalla rabbia a manifestare, e morire, per non diventare invisibili.
Rendere invisibili i profughi sembra in certo modo la “soluzione temporanea” che i governi europei hanno adottato dalla fine del 2015 tramite l’accordo stipulato con la Turchia. Un accordo da 6 miliardi di euro in tre anni, 2 miliardi all’anno, perché la Turchia si tenga i profughi. E se per caso lo Stato turco se li fa sfuggire, i rifugiati vengono fermati in Europa e poi riconsegnati.
L’accordo miliardario scade a fine 2018. La televisione dice che dopo quell’intesa il flusso dei migranti, rispetto ai giorni caldi dell’estate 2015, è molto diminuito, anche se di recente è tornato a salire. Che significa questo in termini numerici? Qualche decina o anche centinaio di disperati all’anno? Non proprio. Un esempio esplicativo è questo: il ministero degli Interni turco comunica che nella settimana (sic!) fra il 14 e il 20 maggio scorsi 4.564 migranti e rifugiati (evidentemente non solo siriani ma anche afghani, iracheni, iraniani, pakistani, curdi, ecc.) hanno cercato di attraversare senza regolari documenti la frontiera fra Turchia e Ue, e tra questi 1.069 sono stati intercettati in mare (i 6 bambini annegati al largo di Demre non sono un episodio isolato, purtroppo). Nello stesso periodo le autorità turche hanno anche arrestato 75 sospetti tra scafisti e veri e propri trafficanti di esseri umani. In una settimana!
Sorvolando qui sul fatto che questo accordo si è rivelato fin dall’inizio un’arma di ricatto nelle mani del governo turco (e non la sola), sorge spontaneo un sospetto-congettura: non sarà che gli sbarchi dei migranti in Italia, quelli provenienti dalla Libia e dalla Tunisia, sono diminuiti quest’anno non solo per ragioni politiche, ma anche perché sono aumentati gli arrivi altrove?
I numeri, infatti, dicono che non solo sono aumentati i migranti dell’area egea, ma che anche quelli dell’area spagnola sono in forte crescita, in barba a tutti i muri e le “politiche di blocco dei flussi migratori” propugnate da un numero crescente di governi europei.
Il tempo delle lamentele sull’Italia lasciata da sola è finito, come pure quello della difesa della nostra “identità”. Il vero drammatico problema è l’Europa, Italia compresa, che non riece a guardare in faccia la realtà. Ma “gli altri” sono giovani e accetteranno sempre di meno il ruolo di invisibili che vogliamo attribuire loro. Qualcuno è in grado di gettare uno sguardo fuori dalla cittadella assediata e proporre qualcosa di nuovo?