Le nuove gerarchie di pensieri e comportamenti
Nel telegiornale serale una settimana prima di Pasqua, un vacanziero in bermuda e mascherina in partenza per le isole spagnole da Ciampino, allorché gli viene annunciato che al ritorno dovrà rimanere 5 giorni in quarantena e sottoporsi a due tamponi molecolari, esplode: «È un’ingiustizia grave quella che subiamo, abbiamo diritto di vivere, ci stanno tenendo in prigione per i comodacci loro». Altro telegiornale, qualche giorno dopo, ecco il microfono sotto il naso del figlio di un militare arrestato per spionaggio: «Come fa mio padre a mantenere una villa, 4 figli e 4 cani?». Alla radio, poi, i presentatori di una trasmissione satirica abituata a inventare ritornelli esilaranti, di fronte alle registrazioni stupefacenti di politici che, in modi talvolta francamente volgari, invocavano anche qui «la giustizia», perché il governo desse «subito i vaccini» alla loro categoria «esposta al contagio», ripetevano lo slogan: «Vaccini alle cassiere dei supermercati, vaccini alle cassiere dei supermercati…». Divertente e terribile.
Intendiamoci, ognuno ha diritto di pensare quel che vuole, e ognuno ha il diritto di essere preso come un caso unico e irripetibile nella sfera terracquea. Ma francamente tali affermazioni sono indice, mi sembra, di una difficoltà delle nostre società ricche e digitalizzate di saper dare una gerarchia ai pensieri, e di conseguenza ai comportamenti. Pandemia e infodemia hanno portato alla fine definitiva (o quasi) di una serie di “centri e agenzie educativi” che tradizionalmente aiutavano ciascuno di noi a «mettere in prospettiva», come cantava Guccini, idee e morale. Penso alla famiglia, che educava alla gerarchia dei valori; penso alla scuola, che piuttosto spingeva a capire la gerarchia tra le idee e tra le nozioni; e penso pure alle chiese e ai partiti, che davano una classifica alle diverse visioni del domani. Famiglia, scuola, chiese e partiti sono entrati in crisi già da tempo, cedendo via via il passo alle nuove agenzie educative, spesso sub-educative, che sono gli influencer, i cantanti, la pubblicità, in poche parole gli attori della società dello spettacolo.
Come si fa a pensare che, in piena pandemia, fare i furbi e andare alle Canarie senza pensare non solo a chi non può permetterselo ma per giunta rifiutando le necessarie precauzioni per evitare disastri pandemici, sia un diritto? I miei comodacci vengono prima della salute altrui? Oppure, è un diritto di giustizia trovare in qualsiasi modo i soldi per mantenere 4 figli e 4 cani, anche vendendo i segreti di Stato? E i politici che si credono avere più diritti dei cittadini, più delle cassiere di supermercato ad esempio, che ogni giorno debbono proteggersi dal fiato potenzialmente contagioso di migliaia di persone, per il fatto stesso di sedere in un Parlamento, nazionale o locale? Non è la banalità del male a venire in luce, come avrebbe detto Annah Arendt, ma la banalità dell’ignoranza, come direbbe Gilles Lipovetsky.
E tuttavia, per non cadere nella trappola del «ai miei tempi sì che le cose andavano bene», cerco di mettere in fila, di gerarchizzare appunto, alcuni nuovi comportamenti e conquiste di pensiero e di morale ottenute grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione a disposizione di noi tutti: la custodia del creato in testa (accanto agli inquinatori seriali, quanti di noi hanno cominciato a fare coscienziosamente la differenziata, o a evitare voli inutili per non incrementare il diossido di carbonio nell’aria…); poi viene una sensibilità di massa, poco praticata fino a poco fa se non da categorie “specializzate”, per gli ultimi, per gli esclusi (si denuncia ormai a chiare lettere il capitalismo selvaggio e disumano, e contemporaneamente si opera nella solidarietà spicciola in modo molto superiore a qualche decennio addietro); ancora, perché non pensare al dialogo, che è parola abusata ma che indica una crescente sensibilità per risolvere i problemi non solo con la forza o con la legge (pensiamo in questo caso al buonsenso e alla partecipazione virtuosa alla cosa pubblica locale di un’infinità di cittadini)?
Un giovane giornalista praticante nel giornale che dirigevo, tempo fa mi presentò un articolo formalmente corretto ma che, una volta presentato a un grande esperto del settore, ottenne questo giudizio: «Tutto può essere accettato, ma noto un’assenza totale di gerarchizzazione delle fonti e dei concetti». È vero, il rischio c’è, l’infodemia di cui siamo tutti vittime rischia, per eccesso di informazioni, di non lasciarci il tempo e gli strumenti per elaborare un ordine delle cose, delle priorità. Ma guardiamo anche alle alle “nuove gerarchie” di pensiero e comportamento che stanno nascendo anche oggi.